Lavorare in un ospedale è difficile e Caroline, infermiera venticinquenne, lo sa bene: manca il rapporto umano coi malati, e la morte è vista solo con una procedura burocratica. L’occasione per cambiare vita si presenta sotto forma di un’annuncio su un giornale: un giovane avvocato cerca personale paramedico per fornire assistenza domiciliare a un anziano rimasto misteriosamente paralizzato. La moglie del nuovo paziente di Caroline si dimostra subito diffidente nei suoi confronti, in quanto non del Sud e quindi incapace di “capire la casa”. In effetti ben presto Caroline si accorge che in quel luogo ci sono molte cose da capire, a partire dall’inspiegabile mancanza di specchi e dalla stanza in soffitta, la cui porta non viene aperta nemmeno dal passe partout del proprietario…

Skeleton key è l’ultimo film della lunghissima stagione estiva del 2005, caratterizzata da un ritorno in forze dell’horror nelle sale cinematografiche, anche se non sempre questa abbondanza si è accompagnata alla qualità: in questo caso il regista Iain Softley narra una storia di Hoodoo (la magia nera della religione Voodoo) ambientata nella Luisiana non della capitale New Orleans, ma della campagna, con le sue comunità di uomini costretti a vivere in condizioni non molto diverse dagli antenati ridotti in schiavitù, e formati da un misto di cattolicesimo, animismo africano e spiritismo caraibico.

L’ambientazione è uno dei pregi di questa pellicola, grazie a una fotografia che riesce a rendere vivida l’atmosfera delle paludi del basso corso del Mississipi; gli interni della villa coloniale in cui è ambientata gran parte della vicenda risultano al tempo stesso fatiscenti e sfarzosi, e dove il senso di mistero e non rivelato ricopre tutto come la polvere

della soffitta.

Anche la musica gioca in questo film la sua parte: il Delta Blues miscelato a inquietanti invocazioni registrate su vinile è una delle idee più felici della pellicola.

A parte questa nota di merito, il film non riesce a spaventare; complice una sceneggiatura ben costruita ma prevedibile, specie nell’epilogo; gli indizi sono ben disseminati, ma la soluzione del mistero la spiegazione finale risultano troppo banali.

Softley, grazie alla sua esperienza teatrale, si dimostra abile alla guida degli attori. Riesce a creare un senso di ansia e tensione crescenti nella durata del film, ma la prestazione della protagonista Kate Hudson non supera la sufficienza, mentre la coppia di veterani Gena Rowlands e John Hurt rubano completamente la scena ai giovani, mostrando abilità consumata con semplici sguardi e cenni. Il resto del cast è nella norma, ognuno fa il suo dovere ma nessuno estusiasma.

Alla resa dei conti il film risulta facilmente dimenticabile, poiché gli indubbi meriti sono soffocati dalla mancanza di un elemento sovrannaturale forte e dalla fragilità del soggetto. Impietoso il paragone con alcuni capisaldo del genere come Angel Heart e Il serpente e l’arcobaleno.