«Perseguitato dalle visioni provocate dallo shining, la luccicanza, il dono maledetto con il quale è nato, e dai fantasmi dei vecchi ospiti dell’Overlook Hotel dove ha trascorso un terribile inverno da bambino, Dan ha continuato a vagabondare per decenni. Una disperata vita on the road per liberarsi da un’eredità paterna fatta di alcolismo, violenza e depressione. Oggi, finalmente, è riuscito a mettere radici in una piccola città del New Hampshire, dove ha trovato un gruppo di amici in grado di aiutarlo e un lavoro nell’ospizio in cui quel che resta della sua luccicanza regala agli anziani pazienti l’indispensabile conforto finale. Aiutato da un gatto capace di prevedere il futuro, Torrance diventa Doctor Sleep, il Dottor Sonno. Poi Dan incontra l’evanescente Abra Stone, il cui incredibile dono, la luccicanza più abbagliante di tutti i tempi, riporta in vita i demoni di Dan e lo spinge a ingaggiare una poderosa battaglia per salvare l’esistenza e l’anima della ragazzina. Sulle superstrade d’America, infatti, i membri del Vero Nodo viaggiano in cerca di cibo. Hanno un aspetto inoffensivo: non più giovani, indossano abiti dimessi e sono perennemente in viaggio sui loro camper scassati. Ma come intuisce Dan Torrance, e come imparerà presto a sue spese la piccola Abra, si tratta in realtà di esseri quasi immortali che si nutrono proprio del calore dello shining».

Parlare di un libro del genere, tanto atteso quanto agognato, non è cosa semplice. Non lo è, per due motivi. Primo, perché io – come tanti – sono cresciuto a pane e Stephen King e, giocoforza, sono di parte. Secondo, Shining non mi ha mai fatto saltare dalla sedia. Sembra quasi una blasfemia, detto da un fan del Re, ma tant’è. Ho sempre trovato il primo romanzo con protagonista Dan Torrance lento e prolisso. Il Re, lento e prolisso, lo è sempre. Ma in alcuni casi questo non mi ha mai dato fastidio. Potrei citare, su tutti, IT, che nonostante la mole di pagine, per me resta un capolavoro indiscusso della letteratura mondiale. In Shining, invece, l’estrema lentezza delle prime duecento pagine mi ha strappato più di uno sbadiglio. Tutto questo per dire che, rispetto a molti altri estimatori, la mia attesa di Doctor Sleep, seguito naturale di Shining, è stata forse meno spasmodica ed esigente.

Questa breve premessa è necessaria perché i punti di forza e di debolezza che ho trovato nel primo romanzo si rispecchiano parallelamente nel secondo, seppur con le dovute differenze. Non a caso, le prime duecento pagine di questo libro mi hanno strappato gli stessi sbadigli di Shining, ma forse si trattava di un inizio necessario, dovuto: che fine ha fatto il famoso bambino con la luccicanza? Come se l’è passata dopo gli eventi dell’Overlook Hotel che hanno funestato la sua infanzia? Ecco, una prima metà del romanzo serve a rispondere a questi interrogativi. Dan è cresciuto trovando ristoro nella stessa spietata amica del padre: la bottiglia. Solo che, contrariamente al genitore, ha poi trovato la forza di rivolgersi all’Alcolisti Anonimi per uscire da questo baratro artificiale.

L’inizio del libro è un viaggio, spesso morboso, spesso faticoso, nella psiche di Dan Torrance, negli eventi che si sono affastellati nella sua vita, nelle cadute e nelle risalite dall’inferno dell’alcool.

Il vero protagonista del romanzo salta fuori solo dopo un po’: lo scontro tra il bene e il male. King è avvezzo a questo tipo di argomento, basti pensare al romanzo L’ombra dello scorpione o alla saga La Torre Nera. Solo che qui, in Doctor Sleep, la tenzone epocale tra i buoni e i cattivi assume contorni un po’ particolari. Da un lato ci sono Dan Torrance e la piccola Abra, una bambina dotata della luccicanza più potente che si sia mai vista; dall’altro, il Vero Nodo: un gruppo di esseri sovrannaturali che viaggiano per le strade d’America, alla continua ricerca di cibo. Il loro nutrimento, guarda caso, è la luccicanza: vampiri-pedofili che divorano chilometri con i loro camper, alla ricerca di bambini dei quali nutrirsi, e grazie al cui potere rigenerarsi. Il punto di forza del Re, come sempre, restano i personaggi: ogni membro del Vero Nodo è un protagonista a tutto tondo, del quale impariamo a conoscere presto caratteristiche e modo di parlare. Ma la trovata, a mio parere, avrebbe potuto essere sfruttata meglio, anche se di per sé suggerisce qualche spunto interessante.

La tensione narrativa, messa in secondo piano per quasi tutto il libro, riprende vigore a tre quarti del romanzo, quando finalmente giunge a conclusione la guerra tra le due fazioni che si sono divise il fluire delle pagine.

Il romanzo di King, nonostante la lentezza di fondo, si fa leggere. Le cornici e i personaggi sono vividi, reali, e ti penetrano dentro come solo la scrittura del Re, meticolosa e riflessiva, sa fare. E se, giudicando oggettivamente questo romanzo, non potrei mai considerarlo tra i migliori dello scrittore, dall’altro potrei assegnargli qualche punticino in più, se dessi ascolto a una vocina. Un sussurro impertinente che dice: Doctor Sleep è forse il più autobiografico dei romanzi di King. Una sorta di diario in metafora in cui ogni cosa è filtrata dalla fantasia dell’autore. La Alcolisti Anonimi è la stessa che ha salvato il Re dalla sua caduta nel bere ai tempi di Shining, e la luccicanza è un connubio tra dono e maledizione, proprio come la scrittura. La scrittura e l’amore come uniche ancore di salvezza, in un mondo nel quale il vero male si nasconde dietro la fattezze anonime di chi viaggia in autostrada, sotto le spoglie di un innocuo nessuno. In definitiva, Stephen King come Dan Torrance. O, per essere più specifici, Stephen King come Jack Torrance prima, Dan Torrance poi: il susseguirsi dei due protagonisti da un romanzo all’altro potrebbe quasi essere interpretato come metafora delle vicissitudini e dei cambiamenti che hanno animato la vita dell’unico vero protagonista: lo scrittore. Adesso che King è anziano, anche gli eccessi del suo passato sono dietro le spalle, e ogni cosa sembra aver trovato il suo posto. Gli incubi dell’Overlook Hotel sono finiti, sepolti sotto un cumulo di neve. Forse.