Ragazzi di un college giapponese che si incontrano la sera in un locale, si raccontano storie del terrore e programmano una nottata insieme nella prima casa disponibile. Giro di numeri di telefono, cellulari che squillano e memorizzano contatti. Yoko e Yumi si allontanano per andare al bagno; il cellulare di Yoko squilla, la suoneria è una cantilena inquietante, diversa da quella impostata dalla proprietaria. Quando Yoko raggiunge il telefono trova una chiamata persa: il numero è il suo stesso numero, l'ora e la data indicano che la chiamata è stata fatta tre giorni avanti nel futuro. Uno scherzo? La ragazza controlla il messaggio lasciato in segreteria: si sente una voce che dice “sta cominciando a piovere”, una pausa, un urlo lacerante. Yoko fa ascoltare la registrazione a Yumi e Yumi spaventata si rende conto che quella che si sente è la voce dell'amica.

Tre giorni dopo Yumi è al telefono con Yoko; a un certo punto Yoko dice “sta cominciando a piovere”. Pausa. Urlo lacerante. Il suo corpo sarà trovato senza vita sotto un cavalcavia.

Così inizia questa ghost story con la quale il prolifico e visionario regista nipponico Takashi Miike entra per la prima volta nelle sale italiane. Miike sembra proporci una storia di fantasmi classica che vede un'anima tormentata incapace di trovare pace mietere vittime l'una dopo l'altra; impossibile non notare le similitudini specialmente con alcune pellicole recenti, prima tra tutte The ring: ancora una volta abbiamo telefoni annunciatori di morte, maledizioni trasmesse attraverso apparecchi tecnologici e infine inquietanti bambine fantasma; in alcuni momenti la citazione sembra proprio cercata e servita su un piatto d'argento.

Cionostante The call, dopo l'uscita dalla sala, non lascia la sensazione di essersi sorbiti qualcosa di già visto: sembra invece che il regista abbia voluto parlarci, all'interno della sua pellicola, anche di un certo di tipo di cinema horror, come se si fosse divertito a giocare con gli stilemi del genere per far dir loro quello che a lui interessava.

E il risultato è notevole. Ci si immerge nella visione smaliziati, convinti di conoscere l'oggetto che si sta osservando, ma le cose si complicano in fretta: il male non sta tutto solo dove ci si aspetta di trovarlo e anche chi sembra più immacolato nasconde oscuri segreti che ci vengono svelati lentamente, ci si tende sulla poltroncina nel tentativo di anticipare i personaggi e capire dove la pellicola ci stia portando, ma è dura: Miike riesce a sorprendere a più riprese.

Altro punto a favore di questo film è la nutrita schiera di gustosi personaggi minori: si va dal pragmatico capo della polizia, parodia dello sbirro duro e con i piedi per terra, all'impresario di pompe funebri necrofilo che si gusta la sua collezione di foto di cadaveri, dal cinico presentatore televisivo che cerca di sbattere in tv i ragazzi condannati a morte nel preciso istante in cui la maledizione dovrebbe compiersi, all'esorcista da prima serata che dovrebbe proteggerli, passando per una madre alcolizzata, inquietante e cattivissima.

Per quanto riguarda le immagini e la loro composizione, in alcuni momenti sono una vera gioia per gli occhi: a un certo punto Miike riesce a mettere fastidiosamente a disagio, a trasmettere brividi, a fare paura semplicemente inquadrando staticamente un fantasma rannicchiato in un armadio; niente trucchi da suspence rotta improvvisamente, rumori violenti o altri effetti da circo: solo una inquadratura ferma, lenta, occhi negli occhi con lo spirito.

Infine due parole vanno spese sul modo in cui il film si chiude: il finale è aperto, enigmatico, poetico; si esce dalla sala un po' spaesati, con la sensazione che la redenzione forse non deve necessariamente passare per il superamento del male.

In definitiva un film sicuramente notevole che almeno un paio di visioni se le merita.