Laura (Belén Rueda) compra l'orfanotrofio che l'aveva ospitata da bambina con l'intenzione di trasformarlo in una casa-famiglia per bambini disabili. Una volta trasferitasi lì insieme al marito Carlos (Fernando Cayo) e al figlioletto adottivo Simón (Roger Prìncep), la casa risveglia l'immaginazione del bambino e lo porta a crearsi una serie di amici immaginari. Laura all'inizio liquida le fantasie del bambino come giochi passeggeri, ma quando Simón scompare Laura si ricrede, e si convince che le presenze che infestano la casa sono tutt'altro che irreali. Per riavere il proprio bambino, Laura si ritroverà costretta a scoprire il segreto nascosto dalla casa.

The Orphanage è un film molto difficile da recensire. La critica specializzata ha accolto con un certo favore la pellicola di Juan Antonio Bayona. I suoi detrattori, invece, sono di numero molto minore. Chi lo ama, chi lo odia, ma alla fine dei conti entrambi i fronti portano delle ragioni pienamente condivisibili. Questa recensione, mettiamo le mani avanti, si posiziona a metà strada, perché i pregi sono numerosi almeno quanto i difetti.

Guillermo Del Toro (che, beninteso, è il produttore del film), ha tessuto infinite lodi sulla perfezione della trama e della sceneggiatura del film. Ma con buona pace di Guillermo, in realtà The Orphanage è una ghost story come tante altre, che si tira avanti fra alti e bassi.

Cominciamo con il classico bambino con annessi amici immaginari che in realtà immaginari non sono (niente spoiler, lo suggerisce la stessa sinossi del film, e comunque bisogna aver vissuto su Marte per venire colti di sorpresa dalla rivelazione), e una villa in stile Clock Tower che nasconde un terribile segreto. Niente di speciale. Ci trasciniamo stancamente lungo tutto il primo tempo, dove esploriamo la casa insieme a Laura. Il regista, con studiata tecnica cinematografica e un (banale) utilizzo dei temi musicali alternati, ci punzecchia di continuo: cosa si nasconderà in tutti quegli anfratti bui? Purtroppo, niente di interessante, e così si arriva alla fine del primo tempo con l'abbiocco, pregando che arrivi il più classico degli stalker halloweeniani a movimentare un po' la situazione, tanto che quei (per fortuna pochissimi) cheap scares ci appaiono quasi un dono di Dio e ci destano dal torpore galoppante.

A questo punto il film ci apparirà privo di ritmo, tanto da farci rimpiangere gli illogici mezzucci narrativi di film minori come Nascosto nel Buio (/cinema/975/). Ma quando sopraggiunge la scomparsa di Simón (tardissimo, contro ogni logica narrativa), il film si risolleva, prende il via e comincia a inanellare diversi momenti interessanti l'uno dopo l'altro. E' vero, l'intreccio è telefonatissimo, e i più sgamati avranno già capito come andrà a finire il tutto. Ma non importa, The Orphanage vive di atmosfera, di silenzi, di tensione psicologica, e l'originalità passa (deve passare) in secondo piano. La sceneggiatura procede con poche sbavature (lentamente... tanto lentamente, quindi abbiate pazienza e cercate di tenere botta), la paura arriva grazie a una regia assai sofisticata (anche se a volte Bayona calca troppo la mano), i giochi di luce/buio catturano l'attenzione dello spettatore fino al climax finale. Spettacolare soprattutto la scena dell' “un-due-tre stella” insieme alla parte del “nascondiglio”: qui cominciamo a capire che è la recitazione impressionistica della Rueda a tenere vivo l'interesse dello spettatore, e, nonostante sia lasciata da sola nella maggior parte delle scene, riesce lo stesso a bucare lo schermo. Il finale “compromesso” soddisferà una metà degli spettatori, ma deluderà l'altra metà.

The Orphanage, quindi, non è il film che vi aspettate. Se cercate fantasmi, mostri assetati di sangue e bambinetti zombi nascosti dietro ogni angolo, allora rimarrete delusi, perché qui abbiamo solo il dramma psicologico di una madre di fronte alla perdita del figlio e i suoi tentativi di venire a patti col dolore dell'abbandono. The Orphanage è il film più semplice del mondo che aspira a essere “d'autore” (nel senso negativo e stereotipato del termine), con tutte le gioie e dolori del caso. Non vi troverete di fronte a nulla di trascendentale, ma neppure rimarrete delusi. E visto i tempi che corrono, forse questa è già una piccola vittoria.

Tre stellette, ma il conto è un pochino per eccesso.