Laura Scaramozzino svolge attività di editing e coaching letterario. Collabora con case editrici e con l’agenzia di servizi editoriali: NovAlexandria. Il suo romanzo per ragazzi, Dastan verso il mare, Edizioni Piuma, è stato selezionato al Premio Internazionale di Como. Ha pubblicato la novella J-Card per la 256 Edizioni. Suoi racconti appaiono su diverse riviste e antologie. Collabora con blog e riviste, tra cui GELO, Sdiario e Grande Kalma.

J-Card affronta temi complessi come le disuguaglianze sociali e le conseguenze delle scelte passate. Qual è stata la tua fonte di ispirazione per creare questo mondo distopico e quali messaggi intendevi trasmettere ai lettori attraverso la storia di Adele e Francesco?

Innanzitutto, grazie per questa intervista preziosa. Rispondo alla prima domanda dicendo che mi sono ispirata ad alcune ricerche che ho condotto nell’ambito del rapporto tra cibo ultraprocessato e l’insorgere delle malattie croniche. Quando ho scoperto ci fosse un nesso molto stretto tra il consumo del cibo spazzatura e, per esempio, l’insorgere dei tumori, ho rimuginato a lungo su questa scoperta. Rinvio, in particolare, agli studi della Dottoressa Maria Rosa di Fazio e del Dottor Philippe Lagarde. Non sono né un medico né uno scienziato, ma seguendo i loro studi mi si sono aperti gli occhi. Basti vedere che cosa accede negli Stati Uniti, nei quali il consumo del cosiddetto Junk food, che ha un costo irrisorio ed è dunque accessibile ai più indigenti, provoca obesità e malattie cardiovascolari soprattutto nella frangia più povera della popolazione. L’argomento ha dapprima ispirato il racconto Junk Food selezionato e pubblicato sulla rivista Alkalina e, in un secondo momento, la novella J-Card con cui ho voluto, in una sorta di allegoria distopica, dare veste istituzionale a una realtà sotto gli occhi di tutti. I poveri sono sempre più costretti a mangiare male e a vivere peggio.

La trama di J-Card è ricca di suspense e colpi di scena. Come hai lavorato per mantenere alta la tensione narrativa durante lo sviluppo del romanzo?

Ho spolverato il mio amore per il noir e per certe atmosfere paranoidi che adoro. In questo, sono debitrice alla mia passione per i racconti di Cornell Woolrich che raccontava l’ambivalenza dell’agire umano come nessuno. Niente è come sembra e tutti i personaggi agiscono per ragioni inconsce o legate alla sfera emotiva più cupa e ambigua.

Adele è un personaggio molto complesso, tormentato dai suoi demoni interiori. Qual è stata la tua strategia nel creare un personaggio così profondo e realistico, e quali sfide hai incontrato durante questo processo? Inoltre, considerando che J-Card esplora anche il tema dell'ossessione attraverso il rapporto tra Adele e Francesco, quali aspetti delle tue personali ossessioni o interessi hai voluto inserire nel personaggio di Adele o nelle dinamiche della storia?

Domanda molto articolata e interessante. Personalmente mi piace esplorare i personaggi che non riescono ad autodeterminarsi del tutto. Che come Adele abbiano sì dei desideri, delle pulsioni anche molto violente, ma che non siano in grado di dare un corso preciso alla propria esistenza. Personaggi deboli, sconfitti, ma in qualche modo sensuali o affascinanti perché in grado di cogliere, e analizzare, ciò che accade con una capacità di analisi, se vuoi, dirompente. Se ci pensi Adele è una sorta di sintesi tra l’indifferenza alle cose del mondo e una capacità di percezione sensoriale sorprendente. Almeno così ho provato a ritrarla. Insomma, ha il distacco di chi ha subito un trauma ma nutre un desiderio, un vitalismo, che non potrà mai realizzare fino in fondo.

Soffermiamoci sul rapporto ambiguo tra Adele e Francesco. Il desiderio di maternità della protagonista sembra volto a un più che legittimo progetto del prendersi cura. Ma non sempre gli slanci altruistici sono hanno un fondamento “sano”. A volte rispondono a una necessità compensativa dovuta a carenze affettive e relazionali. Ma non sono una psicologa. Mi limito a raccontare personaggi sfaccettati e rotti, smembrati.

Il romanzo tocca anche tematiche legate alla classe sociale e alle disuguaglianze. Come pensi che la letteratura possa contribuire alla riflessione e alla sensibilizzazione su questioni sociali importanti come queste?

La letteratura non dà mai delle risposte. Pone delle domande che lancino degli allarmi. Personalmente non credo che i libri possano cambiare il mondo ma che possano contribuire, perché no, a creare una coscienza sociale. Non sarebbe male se dopo la lettura della novella qualcuno si chiedesse che cosa mangi ogni giorno e quali effetti ciò abbia sulla propria salute. Per fortuna, si può ancora mangiare sano senza spendere un patrimonio. In Italia non è come in America. Abbiamo i mercati sotto casa, possiamo comprare verdure sane, legumi e uova a costi più che accettabili.

Oltre alla trama avvincente, J-Card offre anche una profonda riflessione sulla società e sulle sue dinamiche. Qual è il ruolo che, secondo te, la letteratura dovrebbe svolgere nel portare alla luce queste questioni e stimolare il dibattito sociale?

Mi collego alla risposta precedente. Uno scrittore ha sempre la responsabilità di ciò che scrive, ma non dovrebbe mai pretendere di insegnare qualcosa a qualcuno. Non è un educatore, né uno scienziato. Però, può dare dei suggerimenti sotto traccia, aprire dibattiti e generare discussioni. Un’intervista come questa, e domande puntuali come quelle che mi hai posto, rappresentano un ottimo spunto di riflessione.

Come scrittrice che ha anche esperienza di editing e coaching letterario, quali consigli daresti agli aspiranti scrittori che desiderano creare storie coinvolgenti e significative come la tua?

Grazie, come sempre, per l’apprezzamento. I consigli principali che mi sento di dare sono questi: leggete testi di qualità e leggetene tantissimi. Anche i classici, magari su argomenti che vi interessano. Smontate, paragrafo per paragrafo, le storie che avete amato di più. Chiedetevi come l’autore abbia fatto, frase per frase, a costruire una scena. Come abbia mostrato e fatto sentire la porzione di mondo che stava raccontando in quel momento. Poi scrivete, esercitatevi tanto e accettate i consigli di chi ha più esperienza. Non dimenticate di guardarvi attorno. Vivete e fruite altre forme d’arte. Cinema, pittura e musica in primis. Io, inoltre, ho fatto mio un invito del grande sceneggiatore Kurt Sutter, autore di una delle mie serie preferite. In sostanza, lui diceva: scrivete ciò che non vi dormire la notte, ciò che non avete il coraggio di confessare a nessuno. Ciò di cui vi vergognate. E non vi preoccupate del fatto che potreste aver scritto un testo commerciale o meno. Buttate fuori le vostre ossessioni.

La tua scrittura non è facilmente etichettabile e ritengo questo un pregio e non un difetto. Hai in ogni caso qualche autore che ti ha influenzato in particolare nella creazione delle tue storie?

Ce ne sono tanti. Ho sempre avuto una lettura molto variegata. I primi autori che ho letto sono stati Pavese e Kafka. Nulla di più eterogeneo. Non ho un unico scrittore di riferimento. Il fatto che, come dici tu, scriva storie trasversali è dovuto a questo amore allargato per la letteratura. Così passo dalle tragedie di Sofocle ai romanzi di Ira Levin. Dai racconti di Fenoglio a quelli di Buzzati. Da un punto di vista più ampio, mi influenza molto anche il cinema. L’impianto visionario di Lynch è una delle mie maggiori fonti d’ispirazione.

So che sei appassionata del lato oscuro dell'animo umano. Sei influenzata anche dalle arti visive?

Moltissimo! Amo la storia dell’arte alla follia. Per dirti, quando andavo alle medie, chiedevo sempre per regalo romanzi e monografie di artisti. Le prime sono state quelle di Michelangelo, Magritte e Van Gogh. La mia prima mostra risale a quando avevo quattordici anni e vidi un’esposizione dedicata alla Pop Art. Fu un’emozione indescrivibile. A volte, sfioro la sindrome di Stendhal. Tra i miei pittori del cuore ci sono l’immenso Francis Bacon e Felice Casorati. Ma amo molto anche Hopper e i surrealisti. A breve, uscirà su una rivista un mio racconto memoir dedicato alla pittrice trapanese Carla Accardi, di cui quest’anno si celebra il centenario dalla nascita e il decennale dalla morte.

Presto uscirà una tua novella basata sulla vicenda di Cameron Hooker. Cosa ti ha colpito di questo personaggio e quali sfide hai affrontato nel trasporre la sua storia in forma narrativa?

In realtà la storia è ispirata molto vagamente. Dalla vicenda ho preso più che altro lo spunto iniziale. Il mio protagonista non è un sadico come Hooker, innanzitutto, ma uno dei miei soliti pazzi alla ricerca di compensazioni affettive impossibili. Della storia che hai citato mi interessava l’idea che un uomo potesse racchiudere una donna dentro una scatola, con tutti gli annessi del caso. Ne ho tratto una storia visionaria e surreale che, dal punto di vista delle motivazioni del folle, ricorda più le atmosfere del film The Collector. Insomma, nella speranza che la storia venga pubblicata, aspettatevi un’atmosfera surreale, weird.

Infine, puoi condividere con noi alcuni dettagli sul tuo processo di scrittura? Hai delle routine o dei rituali che ti aiutano a stimolare la tua creatività durante la stesura di un romanzo?

Durante la stesura scrivo e basta, di solito. Mi metto al pc e vado. Come accennavo in precedenza, prima si buttare giù una storia, guardo film e quadri, ascolto musica e immagino che tipo di atmosfera vorrei suggerire. Quasi tutte le mie storie, per esempio, hanno una colonna sonora.