Trama: 18 Agosto 1973. Di ritorno dal Messico in furgone, due ragazzi e due ragazze con il mezzo pieno di droga prima s’imbattono in una tizia che cammina in stato catalettico per una strada del Texas, poi, alla ricerca dello sceriffo locale dopo che questa si uccide sotto i loro occhi, finiscono nelle mani di una grottesca famiglia di squilibrati dediti al cannibalismo. 

Perché vederlo: Remake datato 2003 del capolavoro dell’horror The Texas chainsaw massacre, che, con un titolo italiano che ha fatto storia, provvide non solo a lanciare nel 1974 il suo autore Tobe Hooper, ma anche ad introdurre nell’olimpo dei boogeyman il corpulento Leatherface, ispirato, come il Norman Bates hitchcockiano alla figura del contadino necrofilo e cannibale Ed Gein.

Boogeyman tornato in azione in tre sequel – dei quali solo il primo firmato da Hooper – e che, armato di motosega e dal volto nascosto dietro una maschera in pelle umana, è qui incarnato dal roccioso Andrew Bryniarski di The program (1993) e Rollerball (2002), sotto la regia del Marcus Nispel poi responsabile, nel 2009, anche del reboot della saga Venerdì 13.

Il nome di Michael Bay tra i produttori e determinate affermazioni anti-violenza cinematografica da parte del regista ai tempi della lavorazione avevano lasciato pensare a uno dei soliti, edulcorati rifacimenti hollywoodiani; mentre il nuovo Non aprite quella porta non sembra affatto lasciare a desiderare per quanto riguarda il gore e, oltre ad orchestrare alcune tra le più insostenibili e sanguinolente scene di morte viste al cinema prima dell’arrivo del torture porn proto-Saw, sembra guardare più ai b-movie slasher che ad elaborati definiti di serie A.

Rispetto al capostipite le differenze sono poche, dall’assenza del robusto paralitico al fatto che l’autostoppista che i ragazzi fanno salire sul furgone non è, stavolta, il fratello di Leatherface, bensì una giovane shockata e sfuggita ai pazzi.

Inoltre, i nuovi protagonisti fanno uso di droghe e parlano di LSD e, a cominciare dalla presenza di Sweet home Alabama nella colonna sonora, le intenzioni dell’operazione sono chiarissime: se Hooper, a partire dal pretesto (vero o falso che sia) della storia realmente accaduta, ci immergeva in una silenziosa campagna, insospettabile covo del male, facendo giungere l’orrore progressivamente e sfruttando la fotografia in stile documentario di Daniel Pearl (direttore della fotografia anche di questo remake) per conferire al tutto un tono veritiero, Nispel ci regala un primo momento-shock già a film appena avviato, con abbondanza di virtuosismi tecnici funzionali alla sequenza; rivelando, oltre alla sua provenienza dal mondo dei videoclip, che il proprio modo di raccontare la vicenda punta allo spettacolare, alla pura macchina cinematografica.

Macchina cinematografica curatissima dal punto di vista estetico, capace di coinvolgere e, perché no, di spaventare; mettendoci al corrente, però, del fatto che ciò che stiamo vedendo è finzione.

E tutto ciò rappresenta tutt’altro che un difetto, perché remakizzare il classico del 1974 usando lo stesso identico stile sarebbe stata la solita, inutile operazione di marketing, tanto più che lavori realizzati in quel modo, oggi, risulterebbero quasi datati e, di conseguenza, poco efficaci sul pubblico.

Quindi, il regista condensa i trent’anni di evoluzione linguistica della celluloide che hanno separato il suo lavoro da quello hooperiano e, oltre ad osare là dove l’originale, magari, non avrebbe potuto, mostrandoci sequenze decisamente sadiche, descrive in dettaglio tutta la lavorazione riservata dal macella-innocenti protagonista alle proprie vittime.

Senza dimenticare di mettere verbalmente in evidenza il senso di emarginazione sociale ed un certo attacco alle istituzioni.

Curiosità: Il cast include Jessica Biel (I bambini di Cold Rock), Jonathan Tucker (Il giardino delle vergini suicide), Erica Leerhsen (Il libro segreto delle streghe: Blair witch 2) e R. Lee Ermey (Full metal jacket).

Prima che questo remake venisse realizzato, si era parlato sia di un quinto episodio della serie che avrebbe visto il ritorno del Leatherface originale Gunnar Hansen, sia di un progetto della New Line Cinema che prevedeva l’affiancamento, in un unico lungometraggio, di Faccia di pelle, Jason Voorhees e Freddy Krueger.

Nel 2013 John Luessenhop ha diretto il mediocre Non aprite quella porta 3D, non legato a questo, ma direttamente al finale del film di Tobe Hooper.