Sulle pagine di Horror Magazine, nella prima intervista che ci hai rilasciato (era il 2004), parlavi già di Malapunta descrivendolo così: “Il mio personaggio preferito, in questo momento, è quello su cui mi sto concentrando da molti mesi, Nico, un ricco quarantenne fatuo e insignificante che, facendo il pirla in macchina, provoca un incidente uccidendo la giovane moglie. Lo prediligo perché alla buon’ora non sono io, quindi mi devo proprio spremere le meningi per dargli anima e motivazioni. Rimasto vedovo, Nico compera una villa a strapiombo sul mare in un'isola deserta dalle parti dell'arcipelago toscano. Qui vuole morire a causa del senso di colpa, uccidendosi di alcol e d'inedia... È ovvio che ci sarà un "ma".” Dopo sette anni Malapunta viene pubblicato da Edizioni XII con lo pseudonimo di Morgan Perdinka. Come si è sviluppato nel corso del tempo questo progetto e chi è Morgan Perdinka?

Malapunta si è sviluppato come tutti gli altri miei progetti di narrativa. Ti ci dedichi anima e corpo perché, quando si scrive un romanzo, ci devi stare e “camminare” dentro, il più possibile, senza intoppi e intralci di altro tipo, status non sempre facile da mantenere. Com'è noto, sono piuttosto rapido nel mio lavoro. E una volta, terminato il romanzo (credo, in un semestre, più o meno), ho cominciato a proporlo laddove pensavo che piacesse. Siccome non devo fare il figo a tutti i costi – ultima delle mie preoccupazioni... -, non ho difficoltà a confessare che mi arrivarono delle autentiche docce fredde: la proposta in genere non piaceva non perché noiosa o mal scritta, ma perché troppo “contaminata” al suo interno e non “etichettabile” all'esterno Cioè, nel 2005 già stava maturando un certo atteggiamento editoriale che oggi, 2012, trovo ancora più radicato in molte realtà (non in tutte, per fortuna). Le “contaminazioni” fanno paura al marketing, soprattutto se a proporle è un autore dal cognome italiano. Incassai – sono un ottimo incassatore – e passai oltre, in attesa di tempi migliori. Questi arrivarono e giova svelare che, ancor prima dei XII (un'eccellenza editoriale in questa Italia abbastanza scassata...), Malapunta fu comperato per la category (edicola) da Mondadori. Quando dico “comperato”, dico esattamente questo, ovvero pagato con un investimento (lordo) che può essere piccolo o grande a seconda dei punti di vista o dello scrittore coinvolto. E, dopo l'investimento, sarebbe lecito attendersi la successiva mossa di realizzo. Ma qui sospendo perché per mia filosofia di vita – fin dove posso, va da sé – non faccio mai polemiche. Nel frattempo scrissi L'estate di Montebuio, un coacervo motivazionale in parte autobiografico e in parte indagine attorno all'immaginario di uno scrittore horror, Alter Ego inventato e chiamato Morgan Perdinka. Di costui alla fine del libro stilai la biografia fittizia, che è uno specchio degenerato della mia, dove c'infilai anche due o tre cose scritte nel tempo da me e che non sono mai uscite.  Tra queste Malapunta. Ed ecco da dove viene l'idea di fare uscire il book  (fittizio, ma esistente) con il nome dell'autore “vero” (fittizio e inesistente). Per concretizzare un'operazione del genere, ci voleva un capacissimo e geniale uomo fuori di testa come Daniele Bonfanti, finissimo scrittore e straordinario editor nonché anima delle Edizioni XII. Gli proposi l'idea con l'intento che, assieme, dovevamo “rientrare” nel testo per stilizzarlo alla maniera di Perdinka. E' stato un lavoro di fino, molto strano e anche gratificante. Ai lettori e ai posteri il giudizio e la sentenza.

In Malapunta porti avanti il tuo concetto personale di narrativa, che contiene forti connotazioni horror ma contaminato da altri generi come la fantascienza, il thriller il noir e il fantasy e via giocando con le etichette. Spesso hai dichiarato che tu non scrivi horror ma scrivi “Arona”. Cosa ci puoi dire a riguardo e come è stato impersonare i panni di un altro? Pensi di aver cambiato anche il tuo stile?

In parte credo di avere già risposto. Ma si può ulteriormente precisare: per uno scrittore sul serio schizzato (in positivo), non è un grosso problema vestire panni altrui. Lo stile, ovvio, si adegua alle caratteristiche modellate sul personaggio. Nico Marcalli è un mediocre e non possiede neppure un vocabolario esteso. La sua vita è una silloge banale e qualche le sue “trovate” rispecchiano questa banalità (comperarsi, solo perché si è ricchi sfondati, una villa su un'isola deserta e uccidersi lentamente di alcol per il senso di colpa, personalmente mi disgusta, ma è degna del personaggio – la sfida con il lettore è che quest'ultimo non confonda l'autore con il protagonista...), ma la vita, o forse la Oltre-Vita, gli offre una possibilità di riscatto che lui riesce ad agguantare sul crinale dell'Apocalisse. Malapunta è una storia strana che, appunto, cavalca tra i generi. Ma, premetto, io non sono uomo da “contaminazioni a tavolino”. Scrivo quel che mi viene in mente e dentro ho questi mondi. Siccome mi piace esagerare con lo humour, un po' autocritico e un po' padano, ogni tanto mi scappa che “scrivo Arona”. Ma mi piace pure leggere e vedere cose “alla Arona”, per capirci. Sfuggenti, imprecisabili, non catalogabili. Che personalmente trovo molto più inquietanti di quelle canoniche e niente affatto accomodanti. C'è spazio in Italia, e magari oltre, per una narrativa così? Io mi batto perché ci sia. Siamo in pochi, in tanti? Non lo so, non l'ho mai capito bene... E' horror? E' qualcos'altro? Idem come sopra. Ma ho 62 anni e davanti non ho tutto il tempo che mi ritrovo alle spalle. Perciò smetto di preoccuparmi di etichette e sciocchezze del genere. E faccio quel che devo - «vado in missione per la pinguina!» - e, se posso, divertendomi. Anzi, ridendone.

Malapunta parla anche di Apocalisse, di fine del mondo (singolare parlarne nell’anno che per i Maya è quello designato alla fine dell’umanità). Lo scorso anno ci sono stati molti libri che hanno affrontato questa tematica, ne cito due: “I vermi conquistatori” di Brian Keene (Edizioni XII) e “Il Diacono” (Gargoyle) di Andrea G. Colombo. Al di là delle tendenze e delle mode, pensi che gli autori di genere sappiano in qualche modo cogliere i segnali del mondo reale, a restituire il non detto, il rimosso culturale, essere specchio della società in cui viviamo?

Sono proprio gli autori di genere i portatori sani di tanti segnali “malsani”. E, guarda caso, quelli più impegnati a spostare in avanti le lancette dell'orologio dell'Apocalisse entrano a pieno titolo in questo accennato dibattito sulla “dissoluzione” dei generi. Scrivere di Apocalisse significa nuotare contemporaneamente nelle acque del thriller, del noir, dell'horror e persino del fantasy. E del manstream, perché no? E allora hai ragione: il genere, comunque lo si voglia non definire o alchemicamente dissolvere, diventa lo specchio di una società possibile, magari quella in cui vivremo tra 24 ore. La letteratura può così diventare un planetario sistema di allarme. Poi, per dirla alla Altieri, non c'è nessuno da salvare. Chi vuole farlo, ci deve pensare da solo.

Di Perdinka parli anche in L’Estate di Montebuio (Gargoyle 2009), in cui descrivi la sua vita e le sue opere. Cosa ci puoi dire di questo progetto e secondo te può un libro “sovvertire canoni, inculcare un’idea, una visione del mondo” nella mente dei lettori? Un po’ come succede nel film “Il seme della follia” di John Carpenter?

 

Sposo totalmente l'accostamento a Il seme della follia, che è uno dei miei film preferiti di sempre. Non sono pochi gli scrittori convinti che la letteratura da loro praticata sia una porta d'accesso a qualche altra dimensione, che funge anche da “serbatoio delle idee comuni”. Ne conosco qualcuno e spesso ne parliamo al telefono o via mail. Qualche volta saltano fuori delle “sincronicità” che fanno veramente paura. L'estate di Montebuio nasce a ridosso di questo magma infra-psichico, laddove uno scrittore horror sente che la sua scrittura è collegata con la Cosa (o Colui) che Arriva dallo Spazio e non capisce se è la sua letteratura a provocarne l'arrivo o se si tratta di semplice e inevitabile destino. All'origine del tormentone, un po' cosmologico e un po' esistenziale, ci sta qualcosa di tremendo che gli è capitato durante l'adolescenza e allora lui, Morgan,a suo modo, torna indietro nel tempo per saperne di più e per porvi rimedio. E magari salvare il mondo, già che ci siamo. Il suo viaggio nel tempo purtroppo comprende il suicidio e... Che dici, mi fermo? Ho già spiegato sin troppo. Comunque sì, certi libri possono inculcare idee e visioni del mondo. Anzi, dovrebbero farlo di tanto in tanto. In modo democratico, leale, va da sé.

Chi è Cassandra Marsalis?

In un mondo perfetto la mia idea di agente letterario. Bomba sexy, amante scatenata e innamorata, compagna di corpo e di mente, tanto intelligente quanto bella. Ma qui proprio mi sono divertito a inserire un elemento bizzarro in un universo un po' stereotipato che conosco abbastanza. Peraltro lo dico da quando frequento l'ambiente: «Un agente deve essere innamorato del suo rappresentato”... A quel punto, meglio che sia Cassandra che, uno a caso, l'ottimo Enzo Body Cold Carcello (scherzo, Enzo...). Poi, seriamente, era il personaggio ideale per le dinamiche finali del romanzo. Morto Perdinka, la sua opera continua a provocare casini... E allora ci dev'essere un  buon agente di mezzo.

Recentemente, Edizioni della Sera ha dato nuovamente alle stampe il tuo libro Rock. Il progetto era stato proposto, originariamente nel 1998, scaricabile dalle pagine di Horror.it, se ben ricordo (poi riproposto in libro cartaceo da Solid Book nel 2002), ed ebbe un successo clamoroso. Cosa ci puoi dire di questa nuova edizione? Hai operato una revisione del testo?

Un normalissimo editing a distanza di anni, tenendo conto che ho dovuto recuperare il file dall'esterno dopo un catastrofico crack del mio PC.  Questa nuova edizione mi piace molto, sottotitolo e cover con mosca compresi. Ma è lo stesso romanzo licenziato nel 2002. Grazie a Edizioni della Sera è stato scoperto da un sacco di gente, anche giovanissime generazioni, che non lo conosceva.

In Rock c’è uno degli elementi fondamentali della tua narrativa che è la musica. Il romanzo parla di musicisti, rock & roll e diavolo. Tu stesso sei un musicista. In che modo la musica influisce sui tuoi testi, immagini una scena e poi pensi a un ideale colonna sonora  o sono i brani che t’ispirano le scene?

Se ci riesco, visualizzo e “ascolto” in contemporanea. Ma quel che aiuta di più è inserire l'ambiente musicale, soprattutto quello dei musicisti on the road, nel contesto del romanzo. Significa che la musica opera sempre come “rumore di fondo”. Un mio prossimo lavoro avrà come protagonista il Morgan Perdinka “alternativo”, che ho già presentato al pubblico nella prefazione a Malapunta e nel mio racconto di fantasmi apparso su Onryo- Avatar di morte. E' un chitarrista sessantenne, fallito e triste, che però vede i fantasmi per colpa di un ponte sciamanico che gli è cresciuto nell'occhio destro. Ebbene, in quel caso ogni pagina gronda musica. Perché le sue storie sono essenzialmente notturne, da palco... Per dirla in gergo da musicisti, live.

Incentrato profondamente sulla musica è anche Palo Mayombe (la prima versione è del 2004 pubblicata da Dario Flaccovio) di cui è disponibile in commercio, adesso, la nuova versione definita come “ritorno di un classico in versione restaurata e 'uncut'”.  Ci racconti qualcosa di questa nuova riedizione?

Più o meno è lo stesso discorso di Rock. Ho aggiunto solo un piccolo capitolo d'aggiornamento in chiave post-11 settembre. In accordo con gli amici di Kipple avevo annunciato la versione “uncut”, restaurata con il capitolo finale che nel 2004 la signora Marisa Flaccovio decise di tagliare perché troppo offensivo e sanguinolento. A distanza di anni mi sono sentito in pieno accordo con la decisione di Marisa. Non tanto per rispetto della sensibilità del lettore (di cui mi preoccupo fino a un certo punto), quanto perché era un capitolo posticcio, francamente brutto. Ogni tanto bisogna avere il coraggio di buttare via qualcosa. Così ho reintegrato con alcune pagine di materiale “inedito” e attualizzato. Almeno per giustificare il titolo Palo Mayombe 2011.

(Continua...)

Danilo Arona, giornalista, scrittore, musicista, ma anche ricercatore sul campo di "storie ai confini della realtà", critico cinematografico e letterario, instancabile "nomade" editoriale. Al suo attivo un incalcolabile numero di saggi sul cinema horror e fantastico e sul Lato Oscuro della Realtà. Decine sono i titoli dei suoi romanzi, da anni si dedica alla narrativa elaborando un personale concetto di horror italiano legato alle paure del territorio, forse in grado di dimostrare che la nostra solare penisola è uno dei più vasti contenitori mitologici del pianeta.