Ho sempre creduto di aver commesso una follia a ritrovarmi a quindici anni alle 9 di mattina davanti allo stadio di Firenze per i Duran Duran, ma pare che per l’atteso show dei Sonata Arctica all’Alcatraz di Milano lo scorso 27 febbraio (sold out da mesi) la fila sia iniziata intorno alle 7. L’amico Lukas Jörg Müller dei Cruel Device è arrivato all’una con i Labyrinth (che insieme ai 4th Dimension hanno aperto... sì, lo so, è bizzarra l’idea dei Labyrinth come supporter) e mi ha riportato che c’era già un centinaio di persone; quando hanno aperto i cancelli si trovava al bar con un membro della sicurezza che ha sbottato: “Come fanno quelli a correre così che sono qui dalle 4 del mattino?” Ebbene sì, “quelli che correvano” erano arrivati alla chiusura della discoteca del sabato.

Detto questo mi schermo con ogni formula magica possibile prima di dire che sono entrata direttamente nel backstage alle 19.30 con l’omaggio della Live Nation e il pass della Continental Concerts, dato che Gerrit, il simpaticissimo, disponibilissimo ma soprattutto altissimo tour manager dei Sonata Arctica, mi aveva programmato una mini intervista per le 19.45.

Proprio a causa di questo privilegio, mi sono persa la performance dei 4th Dimension, tuttavia ho raccolto in giro pareri più che positivi. L’orario non mi avrebbe permesso neppure di seguire del tutto i Labyrinth che ho comunque incrociato nel corridoio insieme a Fabio Lione dei Rhapsody of Fire (anche loro in concerto all’Alcatraz la sera successiva e seguiti dal collega Alfonso Zarbo dei cugini di Fantasy Magazine, a breve il loro report).

Mentre Olaf Thorsen scaldava la sei corde, Alessio Lucatti (suo compagno con Lione e Bissa anche nei Vision Divine e “supplente” - di tutto rispetto - dell’assente Andrea De Paoli) trasportava qua e là lattine vuote di birra e Lione chiacchierava animatamente con Tony Kakko, Gerrit mi ha comunicato che Marko e Henkka mi avrebbero aspettata nella stanzina in fondo al corridoio; Marko ha pronunciato il mio nome in un italiano più che perfetto, nondimeno si è scusato perché la compulsione da nicotina lo reclamava, tanto che sono stata costretta a effettuare l’intervista negli ultimi 12 minuti insieme a un collega di True Metal. I ragazzi, del resto, ci hanno fatti sentire a nostro agio e ci hanno raccontato che li aspetta un lungo tour fino alla fine di aprile, difatti, nonostante la pausa della sera successiva, non sarebbero potuti rimanere per lo show dei Rhapsody of Fire a causa del viaggio (al di là del divertimento, 40 giorni di tour possono portare disagi non indifferenti se gli spostamenti avvengono in bus e in molti credono ancora che i musicisti girino con i jet privati che avevano le star degli anni '80).

In merito alla catena di ostacoli che ha cambiato il profilo della data a più riprese (prima l’incidente alla mano di Elias che ha fatto slittare a febbraio la data di settembre, poi la mancata realizzazione in Italia del DVD) hanno più o meno confermato quando già dichiarato nello statement ufficiale che parlava di problemi di budget superiori in Italia rispetto alla Finlandia, a partire dai permessi e i costi dei giochi pirotecnici. Ho chiesto loro se avrebbero comunque registrato altro tipo di materiale in giro per l’Europa da aggiungere ai contenuti speciali e mi hanno risposto che sicuramente ci saranno filmati raccolti nel backstage. Riguardo l’uscita, Henkka ha parlato indicativamente di autunno, incrociando le dita.

Sempre in autunno, a seguito di alcune apparizioni nei festival estivi, dovrebbe essere l’entrata in studio e l’inizio delle registrazioni del nuovo album, per il quale Tony sta già preparando materiale. A quel punto, imitando Henkka che ha riso, le dita le ho incrociate io.

Suonare quasi ogni sera per un periodo così lungo può essere divertente ma anche stancante. Ero curiosa di sapere se la scaletta sarebbe stata diversa di luogo in luogo ed effettivamente hanno rilevato che spesso può cambiare a seconda delle preferenze che già hanno riscontrato nei vari paesi dove, per esempio, ci possono essere posti in cui il pubblico preferisce i brani lenti e altri in cui sono più apprezzati quelli veloci. In ogni caso, le feste non mancano ogni giorno, a detta di Henkka. Il tastierista chiacchiera molto più di Marko, notoriamente timido (Kakko ha in seguito tentato di coinvolgerlo al microfono sul palco, ma più di due sillabe non gli ha strappato “perché si vergogna”) ma che, vi assicuro, con le parolacce italiane se la cava benissimo.

Il collega di True Metal ha chiesto se e quando avrebbero fatto qualcosa di particolare e ho anticipato la risposta con un “Tonight!” I ragazzi hanno riso e, nonostante la mancata registrazione del DVD, ci hanno assicurato che avrebbero mantenuto la promessa di fare uno show di due ore, e che gli extra sarebbero stati quattro. A True Metal volevano anche sapere quale fosse il paese in cui i Sonata Arctica hanno un maggior numero di fan. Marko e Henkka si sono guardati perplessi, ma conoscendo alcuni membri del fan club olandese ho provato a lanciare un suggerimento che è stato convalidato dai pollici su e i sorrisi. Prendendo alla lettera gli Alphaville, Henkka ha aggiunto che sono dei “Big in Japan”, oltre ovviamente al caldo pubblico italiano.

Una curiosità: i Sonata Arctica non hanno un particolare rituale nel backstage come molte altre band. Ho provato a spiegare cosa fosse “Shit! Shit! Shit!” ma, pur se divertiti, sono caduti dalle nuvole.

Dopo i saluti, molto carinamente mi hanno autografato un CD per un amico, chiamando anche gli altri membri della band che purtroppo ho incrociato dunque solo di sfuggita.

Devo ammettere che quando Tony Kakko mi ha rivolto un sorriso alla Vivident Xylit (avete presente quella storia dei denti dei finlandesi?), ho sperato per un paio di secondi che la sua mandibola si scardinasse mostrando le zanne, le sue unghie iniziassero a scoppiettare allungandosi e il pelo gli spuntasse irto lungo la spina dorsale. Purtroppo era luna calante e mi ha detto solo “Ciao!”

Dopo aver augurato loro un “nice show”, sono sgattaiolata dal backstage per riuscire ad ascoltare qualcosa dei Labyrinth; attraverso alcuni strati di porte chiuse, ho sentito difatti che nel frattempo già avevano iniziato a suonare (ho detto a Henkka che alcuni di loro erano delle mie parti, ma lui li ha conosciuti solo in occasione del tour). Mi sono così persa gran parte dello show dei nostri connazionali, tuttavia Alessio mi ha gentilmente confermato la scaletta (The Shooting Star; In the Shade; New Horizons; A Chance; Sailors of Time; Moonlight); dunque sono stati proposti sia classici sia brani presenti nell’ultimo album di una band che definire di supporto sarebbe riduttivo. Si è trattato semmai di una conferma, un connubio, un’esperienza internazionale che ha permesso di vedere sullo stesso palco alcuni nomi storici del genere. Per quanto ho potuto ascoltare, i nostri (sia in senso narrativo che campanilistico) sono apparsi in gran forma e Tiranti non ha lesinato i suoi celebri acuti.

L’attesa per i Sonata Arctica, con l’enorme lupo che campava dietro il palco, si è fatta sentire per circa mezz’ora, tanto che dalle prime file il pubblico ha iniziato a reclamarli a gran voce.

Finalmente Tommy Portimo è apparso dietro le pelli, seguito a ruota da tutti gli altri sulle note dell’intro costruita su Everything fades to gray (suoni e luci curati nei dettagli), sintomo del fatto che avrebbero proposto prevalentemente materiale dall’ultimo album. L’apertura è difatti stata affidata all’energica Flag in the ground, titolo trainante del disco e da cui è stato tratto un videoclip. Sempre dall’ultimo album, sono arrivate The Last Amazing Grays e l’evocativa Juliet (nel corso dell’intervista condotta a luglio, Tony mi aveva confidato che si trattava di uno dei suoi brani preferiti dell’album, leggi qui), il cui sinfonismo ha sortito un effetto efficace con lo scarno arpeggio della celeberrima Replica per cui Tony, al grido "Milano sings!", ha avuto l’appoggio del pubblico per tutta la durata della canzone. A sorpresa, sempre dal primo album, è stata riproposta Blank File; dal secondo non ci hanno fatto ascoltare niente e molti nel pubblico si sono lamentati per l’assenza di San Sebastian, per quanto riguarda il power più tipico, a mio avviso più rappresentativa, ma anche, in effetti, più prevedibile. Siamo tornati poi a The Days of Grays, con l’inattesa As if the world wasn’t ending e, passando da Unia con la più veloce Paid in full, da Winterheart’s Guild la band ha estrapolato la celebre Victoria’s secret e la ballad The Misery, intervallate da un accattivante episodio strumentale guidato da Elias ed Henkka.

Introdotto dal riconoscibilissimo accompagnamento tastieristico, è infine arrivato l’immancabile licantropo di Fullmoon; a differenza di quanto visto nel DVD registrato nel 2005 in Giappone, dove il pubblico rispondeva a Tony Kakko alternando le frasi del ritornello, qui gli italiani non si sono fatti pregare e l’hanno cantata per intero da cima a fondo, tanto che Kakko è stato spesso costretto a fermarsi per volgere il microfono all’audience. Ovviamente con aria più che soddisfatta; purtroppo chiacchiera più veloce di un cronista sportivo e capire cosa dice fra uno pezzo e un altro non è cosa semplice. L’uscita del nuovo album è stata comunque confermata, Maya permettendo, per il 2012. Il set si è concluso con l’aggressiva In Black and White, dopodiché mi sono scaraventata al di là della porta di sicurezza per respirare aria fresca, perché la temperatura all’interno del locale stava raggiungendo livelli sahariani.

Dopo alcuni minuti di attesa e di movimenti sul palco da parte dei roadies, abbiamo potuto finalmente scoprire in cosa consistessero i quattro extra, ovvero in un set acustico in cui i ragazzi si sono disposti seduti i semicerchio per eseguire, dopo una cover a sorpresa di Del Shannon (Runaway, hit del 1961 che Kakko ha spiritosamente regalato nel caso nel pubblico ci fosse stato qualcuno che non ascolta solo i Sonata Arctica...), tre brani che, vuoi per l’obbligo a una certa alternanza fra lento e veloce, vuoi per la distanza dal tempo in cui venivano solitamente proposti, sono risultati una sorpresa, ovvero Mary Lou, Shy e Letters to Dana.

Altri minuti di attesa e siamo tornati all’elettrico con Caleb (penultimo capitolo della tenebrosa saga dello stalker iniziata nel 2001 con The end of this chapter e conclusasi con Juliet nell’ultimo album) e la coinvolgente Don’t say a word (secondo capitolo della suddetta saga), uno dei brani di maggior effetto dal vivo. Probabilmente non tutti gli ascoltatori presenti avevano dimestichezza con le abituali scalette dei Sonata Arctica, perché al momento in cui è partita la rituale e conclusiva Vodka song, in molti reclamavano ancora il bis, ma l’outro di Everything fades to gray ha fugato ogni dubbio in merito al fatto che lo show si fosse ahimè davvero concluso.

Il pass che mi era stato appiccicato addosso mi ha permesso di rientrare per un saluto. Giusto il tempo per una sigaretta con Marko (chissà perché si è messo a ridere quando gli ho detto che cerco di smettere tutti i giorni...), Tommy, Elias e Gerrit: fra nomi di pizze e paste (evidentemente i ragazzi erano in calo di energie) e battute su Silvio Berlusconi si è fatto sentire il rammarico per la mancata registrazione del DVD in Italia. Elias è rimasto piacevolmente colpito dalla risposta del pubblico e quando i fari illuminavano anche la “galleria” e le braccia che si dimenavano al di là delle ringhiere lo spettacolo pare sia stato suggestivo anche con vista dal palco.

Infine, il richiamo dal camerino per cambiarsi e rimettersi in cammino.

Adesso non ci resta dunque che attendere l’uscita del famigerato DVD e del nuovo album.

Incrociando le dita.