Sin dall’uscita della demo del 2010, mi è capitato spesso di seguire sia via web che live le mosse dei Wind Rose, giovane band toscana di power/prog/symphonic metal, fino alla partecipatissima presentazione ufficiale dell’album di debutto Shadows over Lothadruin, avvenuta domenica scorsa al Teatro Odeon di Ponsacco (Pisa).

Il concept dell’esordio, uscito il 28 agosto per Bakerteam Records (costola della Scarlet), è stato prodotto da Cristiano Bertocchi (Labyrinth, Vision Divine) e masterizzato da Goran Finnberg (Opeth, Dark Tranquillity), mentre Felipe Machado Franco (Blind Guardian, Rhapsody Of Fire) ha realizzato l’evocativo art work.

Nell’ultimo mese la band è stata recensita positivamente in tutto il mondo e travolta da una pioggia di voti fra l’8 e il 9. Gli inglesi addirittura consigliano ai Dream Theater di prendere appunti da loro. Un’esagerazione? Niente affatto. Per quanto il richiamo a modelli epic e symphonic risulti ancora evidente, la produzione è ottima e il livello compositivo e stilistico degno di colleghi ben più navigati. Tutti i membri della band dimostrano capacità tecniche di tutto rispetto e non disdegnano di addentrarsi spesso in episodi virtuosistici progressivi, ben supportati dal lavoro in studio (arrangiamenti, cori). Ma non lasciatevi fuorviare dalla fredda geometricità delle definizioni tecniche, i brani sono melodici, orecchiabili, efficaci, intrisi di quel calore che spesso latita in altri lavori ascrivibili al genere.

I pezzi veri e propri sono dieci, mentre le tracce alternate si configurano quali brevi interludi narrativi di supporto al concept (un dark fantasy ideato dal chitarrista Claudio Falconcini, in cui due regnanti e i rispettivi figli, incarnazioni de bene e del male, lottano per assicurarsi il comando del loro mondo).

 

L’introduzione all’album è affidata ad Awakening, epica e minacciosa, preannuncia il tema di The Endless Prophecy, una traccia energica e d’impatto immediato dalle forti influenze power, soprattutto nell’orecchiabile ritornello, che narra la distruzione (per opera del crudele Re Averoth) di un popolo anticamente situato nelle terre meridionali di Lothadruin. Oltre al power e al symphonic risultano comunque già evidenti le suggestioni progressive nella struttura a sezioni alternate, nel frequente cambio di valori (lodevole il lavoro della sezione ritmica affidata a Daniele Visconti per la batteria e Alessio Consani per il basso) e nel richiamo alla musica colta, in particolare a quella medievale.

I cenni al passato diventano manifesti con l’interludio cavalleresco In The Tournament e soprattutto con Siderion. Ci spostiamo nella regione occupata dalla popolazione protagonista delle vicende, guidata da Re Hagar, dove il capo dell’esercito viene scelto annualmente tramite un torneo. Qui gareggiano l’eroe Meador, figlio di Hagar, e il malvagio cugino Garodin, che vince. Nel corso del torneo, un cavaliere viene ucciso da una freccia avvelenata, ma non si sa chi l’abbia scagliata. La musica evoca gradevolmente in pittura sonora le varie fasi del torneo, dalle piroette e le cavalcate alle grida di incitazione della sfida.

Mentre Garodin viene ufficialmente proclamato capo dell’esercito, questi e il padre stanno architettando piani malvagi (The Grand March, interludio); intanto (Son of a thousand Nights), a seguito dell’omicidio avvenuto nel corso del torneo, Hagar incarica Meador, in qualità di secondo dell’esercito e capo dell’avanguardia, di indagare su chi sta minacciando le loro terre. Il brano si mostra disteso e costruito su ottime melodie rivolte da Meador all’amata; parte introspettivo e struggente per sfociare in armonie vocali che non si lasciano dimenticare facilmente.

The Fourth Vanguard è un brano carico ed energico, uno dei più duri dell’intero lavoro, pur se associato a momenti distesi e melodici (Francesco Cavalieri si muove con naturalezza fra toni gravi e acuti, sporchi e  puliti), incentrato sulla missione di Meador e la sua avanguardia. In Dark Horizons un menestrello recita che sta per accadere qualcosa di oscuro. Si apre così Majesty, a mio avviso il brano migliore dell’intero lavoro. Dieci minuti che scorrono ‘maestosi’ senza che l’ascoltatore se ne accorga, lasciandolo addirittura desideroso di riascoltare il suggestivo ritornello. Hagar si prepara alla battaglia in cui scoprirà di essere stato tradito dal fratello, alleatosi con Averoth, e la storia si sviluppa attraverso numerose sezioni dominate quando da uno strumento, quando da un altro (ottimi i ripetuti combattimenti fra la chitarra di Claudio Falconcini e le tastiere di Federico Meranda), mantenendo comunque la struttura coesa grazie alla tensione.

The Havoc racconta di Meador (gli interludi sono sempre narrati da Cavalieri) che al suo ritorno trova solo rovine; il giovane decide di vendicarsi in Oath to Bertray, altro brano massiccio e vigoroso, cupo e furioso, a tratti brutale, che si contrappone a Led by Light, dove Meador scopre che qualcuno nel villaggio di Caron potrebbe aiutarlo. Il cielo è nero, e l’avanguardia parte guidata da un unico spiraglio che si affaccia nel cielo sopra al luogo in cui è situato il villaggio; spiraglio di luce che è ben dipinto dall’ampiezza del fraseggio musicale del ritornello contrapposto a strofa e bridge angusti e oscuri, zoppicanti e impetuosi.

Dopo aver scoperto che la madre e l’amata sono state rapite dai nemici (Sacred Fount), Meador viene accompagnato davanti al santuario in cui è stato sepolto il padre: Moontear Sanctuary è un nuovo brano rilassato, dal sapore medievaleggiante, intriso di momenti corali (moltiplicandosi nei cori, Cavalieri talvolta è supportato da Valerio Voliani di Motus Tenebrae e Absolute Priority).

Meador s’incammina nel deserto alla ricerca delle due donne accompagnato da fraseggi mediorentaleggianti (Vererath) per arrivare al finale (Close to the End) in cui riesce a sconfiggere l’esercito nemico con un trucco legato ai poteri del santuario: ampio, ricco di cambi di valori e atmosfere, tira le fila di ogni soluzione ritmica, armonica e melodica superata, fino a chiudere il cerchio musicale e narrativo di un lavoro che merita sicuramente di essere ascoltato.

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