“L’uomo nero non è morto. Ha gli artigli come un corvo. Fa paura la sua voce. Prendi subito la croce. Apri gli occhi, resta sveglio, non dormire questa notte...”

Se, leggendo questi versi, vi è risuonata in testa un’inquietante melodia e un brivido vi è salito lungo la schiena, avete già capito di cosa stiamo parlando. Come? Nightmare? No, vi sbagliate.

Sarebbe d’obbligo, al fine di mantenere intatta un’onestà intellettuale, analizzare un film per i suoi meriti e demeriti, sforzandosi di trascurare i paragoni con altri. E’ concesso, però, fare paragoni se il film in questione è un remake. E’ d’obbligo farli se il film è il remake di un cult come Nightmare - Dal profondo della notte. Difficile infatti riuscire a ricordare un film che abbia segnato il panorama e l’immaginario horror più del Nightmare creato da Wes Craven nel lontano 1984. Un franchise che ha portato a poco a poco il diabolico incubo Freddy Krueger, interpretato più volte da Robert Englund, a perdere il suo carisma, la sua natura terrificante e la capacità di suscitare quell’irrazionale paura che è orgasmo di ogni regista horror. La deprimente riduzione di Freddy Krueger a icona serializzata, innocua, a tratti ridicola, si è protratta per sette (lunghi) capitoli, toccando il punto più basso con Freddy vs. Jason (2003).

Il 25 agosto 2010 è uscito, in tutte le sale cinematografiche italiane, l’attesissimo Nightmare (A Nightmare on Elm Street), regia di Samuel Bayer, ennesimo reboot di un capolavoro horror dopo quelli di Non aprite quella porta (2003), Halloween: The Beginning (2007) e Venerdì 13 (2009). Obiettivo principale di questo remake era riportare Freddy Krueger alla sua onirica condizione di mostro per eccellenza, azzerandone le derive umoristiche. Obiettivo che, spiace dirlo, si è rivelato utopia. Ciò che manca al film è la capacità di condurre lo spettatore a empatizzare con le vittime. Mentre nell’originale la tensione seguiva sincronicamente la durata del film, in questo remake si spezza in frammenti che corrispondono ai momenti in cui Krueger appare. Una serie di "Bu!" a cui ci si abitua e per cui solo i personaggi si spaventano. La qualità della recitazione degli attori che interpretano i giovani protagonisti è uno dei difetti più pesanti del film. Ciò che salta subito all’occhio è l’assoluta mancanza di realismo, profondità e problematicità dei personaggi, il cui obiettivo principale sembra il dover dimostrare di avere paura. La giovane Nancy, in primis, incarnata da Rooney Mara (The Social Network, Youth in Revolt), con i suoi grandi occhi verdi incapaci di trasmettere la minima emozione (e nel film ce ne sarebbero tante), sembra una copia sbiadita della cupa e sofferente, ma ingegnosa e combattiva, guerriera interpretata da Heather Langenkamp nel 1984, che aveva rotto completamente la tradizione delle eroine craveniane. E’ l’idea che sta alla base della trama a segnare un punto a favore dei personaggi: fare tabula rasa di tutto ciò che sappiamo della serie, dare un nuovo background alla storia, più moderno, e andare a fondo nel passato dei protagonisti e nelle loro relazioni. E’ solo questo a impedire che i personaggi cadano in ruoli convenzionali e stereotipati, a permettere una loro evoluzione nei 95 minuti. Chi ne perde, però, sono i personaggi dei genitori, praticamente assenti da tutto il film, così come quelle significative interrelazioni genitori-figli toccate dall’originale. Ciò che resta e, anzi, viene amplificata, è la tematica sociale, anch’essa rivisitata in chiave moderna, con l’inserimento dei personaggi in una dinamica attuale come quella della pedofilia. Ma l’argomento viene affrontato superficialmente, tralasciando la complessità di un’esperienza tanto traumatica. La sceneggiatura gioca col tentativo di mantenere un’ambiguità rispetto all’effettività degli abusi di Krueger sui protagonisti-bambini; idea più che valida, se non portasse a un finale banale e deludente.

A questo punto vi chiederete: e Freddy?

La caratterizzazione del personaggio operata da Englund era, e rimane, troppo particolare e seducente per poter sperare di eguagliarla. Tuttavia Jackie Earle Haley (già apprezzato in Che botte se incontri gli orsi, Watchmen e Shutter Island), tenta in tutti i modi di caratterizzare il suo Freddy. Peccato che ogni tentativo di dare espressività al personaggio venga sepolto sotto un make-up troppo pesante, riducendo le analogie con il mostro creato da Craven al solo sfregamento dei coltelli l'uno sull'altro e contro il muro (non preoccupatevi, maglione e cappello sono gli stessi). Sintomatico della frustrazione a cui è costretto Haley è il fatto che riesce a rivelare tutta la sua potenza espressiva solo nelle scene in cui personifica l’uomo (non il mostro) Krueger, senza trucco. Eppure Bayer fa di tutto affinché lo spettatore riconosca in questo nuovo Freddy quello che già gli aveva impedito di dormire sogni tranquilli negli anni ’80: lo inquadra ripetutamente in volto, illuminandolo con un proiettore da 250W, come a dire “Guardate! E’ proprio Freddy Krueger!”, eliminando completamente quel fascino misterioso e sadico trasmesso da Craven che, al contrario, teneva, in ogni inquadratura, il viso di Krueger in ombra. La regia di Bayer si “distingue” così per le scene riprese tali e quali dal film originale (il guanto di Freddy che esce dalla vasca da bagno, il corpo della prima ragazza uccisa racchiuso in un sacco). Se questo è il principale motivo per guardarlo, tanto vale rispolverare i vecchi DVD.