Robert R. McCammon dal 1978 scrive incessantemente romanzi, storie brevi e saggi sull'horror e dintorni. Descrive così il suo rapporto con lo scrivere: "Ritengo l'abbia fatto perche' mi e' piaciuto da sempre leggere così tanto che ho voluto anche io provare a scrivere. Desideravo essere uno scrittore fin da quando ero bambino, sebbene pensavo che sarei diventato un giornalista. Per quanto riguarda l'horror, anche in questo caso era il genere che mi divertivo a leggere quando ero un ragazzo. Mi piacevano anche i film dell'orrore".

Ogni romanzo di genere fantastico, di cui l'horror e' un sotto genere, deve fare i conti con molti problemi, uno tra tutti il tempo. Molti risolvono aggirando l'ostacolo (utilizzo di poteri, avvicendamenti di fenomeni paranormali, etc). McCammon decide di dare più consistenza al contesto pseudo-storico rafforzando le fondamenta del racconto (episodi romanzati che si mescolano ed eventi storici; risulta doveroso dire che da una veloce analisi non risulta una famiglia Usher americana che ha avuto un ruolo nella storia politico-economica, come invece emerge dal romanzo).

La prefazione affidata all'esperta penna di Gianfranco Manfredi analizza il confronto tra l'opera di Poe, da cui McCammon prende spunto per il suo La maledizione degli Usher, che regala al lettore questa impressione: "... la maestria dell'autore non si rivela tanto nel suscitare ammirazione o stupore, ma è indirizzata allo scopo specifico della narrativa horror di inghiottire il lettore in un vorticoso e terrificante maelstrom" (Edgar Allan Poe nel 1839 pubblico il racconto The Fall of The House of Usher sul periodico Burton's Gentleman's Magazine). Per meglio capire le riflessioni del nostrano Gianfranco, come antefatto viene allegato l'intero racconto di Poe.

L'operazione dell'autore non e' certo quella di una mera emulazione o qualcosa di simile, ma inevitabilmente risuonano i parallelismi con Poe: il protagonista è de-personalizzato per la maggior parte del racconto, schiacciato dal peso della famiglia/clan. Gli Usher hanno una gestione fortemente patriarcale. Il patriarca gestisce tutto come un signore feudale: basta pensare all'antica magione al centro della proprietà circondata da un lago artificiale e raggiungibile con un ponte di pietra. Wallen Usher, patriarca dei tempi della narrazione, ha però rifiutato la magione come residenza. Questo elemento risulta un accenno agli imminenti cambiamenti che il clan dovra' affrontare. 

Il ritmo narrativo sembra costante, una lenta inarrestabile macchina di carte e inchiostro, in grado di sottrarre alle grinfie del tempo e rapirti per tre o più capitoli. Questa malia porta la personalita' del lettore a frantumarsi insieme a quello della pedine che si muovono sulla scacchiera degli Usher. Tutti a eccezione del patriarca e del protagonista assumono tratti caricaturali, che a tratti vengono riscattati dalla descrizione dettagliata delle singole emozioni (come un anti-eroe il protagonista comincia la sua maturazione).

Usherland la scacchiera di questa vicenda: grottesca e assurda, burlesca e crudele, machiavellica e ingenua. Il meccanismo Usher a pieno regime si scrolla la pesante reminiscenza del romanzo di Poe. Periodi, paragrafi e capitoli sembrano far parte di una narrazione parallela, creando un grottesco carnevale di emozioni. La complessa struttura permette di identificare due percorsi principali: da una parte le vicende del clan degli Usher tra passato, presente e futuro e dall'altra le vicende di cio' che rimane di un clan di maghi, streghe e stregoni. La tragedia di un unico terribile evento generò il minimo comune denominatore, che come il filo di Arianna condurrà verso l'epilogo. L'autore si contorce come un gatto tra le fila della vicenda e sottopone le proprie tematiche: cos'è la morale? Qual è il limite tra bene comune e interesse personale? Saggezza e follia collassano o sono entità separate? Il fantastico è un interno del palazzo della realtà o solo un immaginifico universo parallelo buono a raccogliere i derelitti e i perdenti della società umana? Altro motivo portante risulta essere la tragicità della vita, che fa tabula rasa. Come uno spartiacque la tragedia divide senza possibilità di ritorno il prima dal dopo. Ecco nuovamente apparire la tematica del sentiero oscuro come ampiamente sviscerato in La via oscura. L'operazione questa volta è orientata a sviscerare il ruolo dell'uomo come custode del male, quindi complice. Una curiosità sul nome del casato: Usher deriverebbe dal francese "l'ussier", l'usciere. Tale ruolo calza a pennello sia nel romanzo di Poe, ma ancor di più in La maledizione degli Usher.

L'accelerazione impressa alla narrazione potrebbe culminare nel delirio o schiantarsi verso un colpo di scena a tratti scontato: non è facile dire in che percentuale i due elementi si combinino nell'alchimia dell'epilogo.