Alcuni mesi fa vi avevamo dato la notizia che stava per arrivare un lavoro degno d’interesse se non altro già a partire dai nomi che vi si celavano dietro. Il progetto Witchfield è, difatti, un ‘campo di streghe’ in cui si sono incontrati Thomas Hand Chaste, primo batterista dei Death SS e dei Violet Theatre di Paul Chain, il bassista Baka Bomb, il vocalist ‘John Goldfinch’ Cardellino e il fratello Andy, chitarrista, quest’ultimi in forza dell’Impero delle Ombre, nonché il chitarrista Ilario ‘Piranha’ Suppressa. Spiccano fra le collaborazioni quelle del leader dei Death SS Steve Sylvester e di Clive Jones (Black Widow, Agony Bag): un calderone di horror metal che percorre la Penisola, dunque, attraverso i suoi membri, dal Salento alla Romagna, dalla Toscana all’Inghilterra.

Ma la musica proposta in questo Sleepless non si limita solo agli stilemi classici del metal e si rivolge al contempo a doom, folk, elettronica, psichedelia, progressive e classica contemporanea, mentre, per i testi, Goldfinch ha attinto alla poesia inglese, soprattutto quella a cavallo fra il ‘700 e l’800 (Kingsley, Ferguson, Blake), nel tentativo di descrivere i disagi e l’alienazione dell’uomo moderno.

E sono proprio i Violet Theatre la radice da cui si dipana questa naturale evoluzione, dato che, eccettuata la cover deathssiana di Inquisitor e il classico di Alice Cooper Black Widow, le musiche sono quasi interamente composte da - caso raro - l’addetto alle pelli e ai piatti (ma in questo caso anche alle tastiere), Thomas Hand Chaste.

L’intro, The Burial of Count Orgaz, si apre con carillon, organo e tastiera con simulazione di cori, in uno stile che richiama le colonne sonore degli anni ’80, care ai cultori dell’horror di matrice italica. In Edina’s Escape from Cancer City ci apriamo difatti con un riff dall’atmosfera retrò, incorniciato da ossessivi passaggi di chitarra, associato alla voce che si trascina nella strofa fino all’ampio ritornello. Seppure più volta all’elettronica, la terza traccia (The Mask of the Demon) resta vicina al doom e la melodia insiste nel procedere strascicata, lenta, cantilenata anche nel modo di porgere il cantato.

High Tide Symphony, come preannuncia la forma musicale indicata dal titolo, si rivela una struttura più complicata, suddivisa in varie sezioni, mentre il cantato talvolta si riduce a un semplice recitativo, orrorifico, quanto il lancinante assolo finale.

Per struttura e durata (8 minuti e 23 secondi, ma non è il pezzo più lungo dell’album: la traccia numero tre la supera di pochi secondi), con Void in the life possiamo addirittura parlare di suite multi-sezionata progressiva, anche grazie all’innesto di assoli virtuosistici di sax e flauto traverso a opera di Clive Jones. La parte iniziale, dominata dal leggendario membro dei Black Widow, si sviluppa per oltre due terzi del brano, fino a sfociare in una sezione più dura, corredata da rituale riff ossessivo; come in ogni suite multi-sezionata che si rispetti, incontriamo alternanza fra parti più rilassate e altre martellanti, sezioni con valori ritmici dimezzati, e riproposizione di parti già in precedenza presentate. E’ il mestolo al centro del calderone che amalgama gli ingredienti inseriti finora e continua a cuocerli nelle tracce successive.

La numero sei, I curse my fate, è quella che più si accosta alla semplice forma-canzone, anzi, le musiche associate ai versi di Shakespeare sembrano persino voler richiamare il madrigale rinascimentale, alla stregua delle idee melodiche con cui Thomas Morley musicava i componimenti del poeta. Ma ecco che, se il cantato appare quello di maggior presa immediata, il cambio di valori ritmici complica di nuovo la struttura, rendendone più interessante lo sviluppo.

Totentanz è invece un breve inserto strumentale, a opera in prevalenza dell’organo elettrico. Musicata da Paolo Montebelli, si presenta forse un po’ diversa dal resto delle composizioni, ma risulta utile per spezzare l’andamento generale, prima dell’arrivo della cover dei Death SS Inquisitor. Cover che, inizialmente, non sembra divergere troppo dall’originale, se non per l’aspetto più grezzo. Ma l’impressione è che adesso sia l’Inquisitore stesso a essere trascinato nel campo delle streghe, impressione avvalorata dalla citazione (seppure in una tonalità più alta), nella parte centrale, del riff di Edina’s Escape. Gli innesti prog di Clive Jones arricchiscono il tutto finché il tema dell’Inquisitore riparte nel finale.

La pioggia, e una nota sospesa sull’acuto, introducono la cover di Alice Cooper Black Widow, cantata a due voci da John Goldfinch e Steve Sylvester. Il cantato della strofa e del bridge punta sulla drammatizzazione, mentre il ritornello si mantiene fedele alla linea melodica catchy. Ottima rivisitazione di un classico, attraverso generi diversi.

Immagination Vortex, componimento di Blake adattato da Cardellino è, per ovvia conseguenza, una nuova semplice forma canzone, ma gli stacchi e le pause che richiamano l’avanzare del precedente Inquisitore, infondono un senso di sospensione che al secondo quarto del brano si dilata in una sezione strumentale modulata in maniera lenta e ossessiva; poi la struttura si ripete con lievi variazioni nella parte strumentale, che si riversa nell’assolo di chitarra

Il finale chiude il cerchio della sepoltura del Conte Orgaz. I suoni sono simili a quelli introduttivi, ma qui la ritmica cadenza una sorta di lenta marcia al patibolo che si conclude col ritorno del carillon.

Non c’è dubbio che si tratti di un progetto interessante, carico di suggestioni e fascinazioni, sia a livello musicale sia per quanto riguarda i temi che ne stanno alla base. Un richiamo al passato e un grido al futuro del metal italiano, che speriamo possa infondere stimoli anche alle nuove leve.