Quello tra cinema e videogiochi è ormai un legame molto stretto. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un vero e proprio scambio culturale tra il mondo del grande schermo e quello videoludico: basta pensare a Lara Croft, protagonista della serie Tomb Raider, con all’attivo due comparse cinematografiche, e all’imminente Hitman, l’assassino professionista calvo ben noto presso i videogiocatori.

D’altro canto, altri eterni protagonisti della filmografia horror sono gli zombie, anche se queste simpatiche creature sono diventate famose solo con il regista George Romero, creatore de La notte dei morti viventi.

Come poteva allora mancare un videogioco dedicato ai non morti? Così, nel lontano 1996, sull’ormai remota Playstation one, apparve Resident Evil, creato dalla Capcom, un gioco che ha fatto perdere la testa a milioni di utenti. La saga, chiaramente, era destinata a continuare e ad avere successo: ecco allora seguiti del gioco, prequel, episodi paralleli; per non parlare dei gadget e delle centinaia di forum creati dagli appassionati per parlare del loro gioco preferito.

Poi, nell’estate del 2002, dopo rinvii, smentite, conferme e attese spasmodiche, arrivò finalmente la versione cinematografica del gioco, con protagonista la bellissima Milla Jovovich, affiancata a Michelle Rodriguez. Nonostante il primo episodio riscosse consensi presso il pubblico, già s’intuiva la direzione differente che la saga sul grande schermo avrebbe intrapreso rispetto a quella su console: c’erano gli zombie, il T-Virus, l’orrore allo stato puro, sì, ma con personaggi e ambientazioni differenti dal gioco. E sebbene questa presa di posizione avesse già dato fastidio in principio ai fan puri della serie, con il secondo episodio, Apocalypse, e con quest’ultimo, Extinction, l’improvvisazione dei contenuti ancora più marcata lascerà l’amaro in bocca all’appassionato di Resident Evil.

Certo, in questo capitolo si trovano protagonisti ben noti, come Claire Redfield (sorella di Chris), Carlos Oliveira, apparso nel terzo episodio su Psone; ma per il resto ci viene presentato uno scenario che non solo ha poco a che fare con le ambietanzioni originali, ma sembra ripreso di sana pianta dai film di Romero (la base militare situata nel bel mezzo di un deserto popolato da zombie). Per non parlare poi di cliché visti e rivisti, come i non morti intelligenti (si fa per dire!), le situazioni apocalittiche costellate da cadaveri, il compagno che si sacrifica per tutti, eccetera. Il Virus-T ormai pare solo un elemento di contorno, e nemmeno la presenza del famigerato Albert Wesker riesce a ridare al film l’identità che gli spetta. Il finale, al limite della ridicolaggine, conferma la mediocre qualità della pellicola, che con il noto marchio ha in comune solo il titolo.

Si spera che nel prossimo episodio (la conclusione fa capire senza fronzoli che la storia non è ancora finita) si decida di rientrare un po’ tra le righe. Ma visto l’andazzo già preso in Apocalypse, difficilmente Anderson tornerà sui suoi passi.

Unica nota positiva riguarda l’interpretazione della Jovovich, sempre carismatica e calata nella parte, anche se appare un po’ meno convincente rispetto ai capitoli precedenti.