Questo romanzo segna l'esordio dello statunitense Justin Evans, autore che è stato osannato dalla critica americana: addirittura il Washingon Post ha definito la sua opera come il miglior romanzo del 2007 (comparso negli USA con il titolo A good and happy child).

Il bambino che parlava con il diavolo, sbarcato in terra nostrana il 27 febbraio, ha portato con sé tanto hype creando molte aspettative dal pubblico.

Le vicende vedono protagonista George Davies, un uomo alla prese con uno strano quanto angosciante problema: nonostante egli ami molto suo figlio, neonato di pochi mesi, non riesce a stabilire nessun contatto fisico con lui, provando repulsione al solo pensiero di sfiorarlo. Un fatto che influisce nel rapporto tra il protagonista e sua moglie Meggy, erodendolo pian piano fino allo sfracello definitivo del matrimonio. Per questo motivo George tenta la strada della psicoanalisi sperando che possa aiutarlo nel risolvere il suo problema e recuperare il rapporto con la moglie. Ma il percorso piscoanalitico si rivela più arduo del previsto: nella mente del protagonista iniziano a riaffiorare i ricordi d'infanzia, dove il piccolo George era tormentato da orribili visioni scatenate da una presenza sovrannaturale, il suo Amico.

Ma quale collegamento c'è tra l'impossibilità di George di non riuscire a sfiorare suo figlio e i terrificanti eventi verificatosi quando aveva undici anni? E' proprio su questo punto che si regge l'intero plot narrativo del romanzo. Come i più sapranno, non è di certo la prima volta che la psicoanalisi fa la sua comparsa in letteratura (si potrebbe iniziare dal classico La coscienza di Zeno di Svevo, fino ad arrivare al Lamento di Portnoy firmato Phil Roth), e si sa come spesso per riprodurre fedelmente le modalità di questo particolare approccio psicoterapeutico si tenda ad appesantire la lettura. Ma questo non è affatto il caso dell'opera di Evans, dove anzi il diario dei ricordi tenuto da George riveste un ruolo essenziale nel conferire pathos alle vicende. Nel rileggere le memorie del protagonista, vengono fuori molti temi decisamente inflazionati nella narrativa (e non solo): in primis la possessione demoniaca, per poi passare al classico scontro tra fede e scienza, superstizione e razionalità. La peculiarità del romanzo tuttavia consiste nell'utilizzare come campo di battaglia degli scontri la psiche del povero George, il quale si trova in bilico tra sentimenti contrastanti vissuti in ospedali psichiatrici e chiese con esorcisti. Tutto ciò non può impedire al lettore di affezionarsi al protagonista, vivendo con lui tutte le angosce dell'adolescenza, i problemi di comunicazione con gli adulti, e anche un po' di sano brivido: tutto imbastito in un intreccio arzigogolato che sfocia in un finale sconvolgente anche se, apparentemente, aperto. Da qui si capisce come il romanzo fornisca più chiavi di lettura, tenendo in piedi le ipotesi di possessione e patologia mentale.

In definitiva, se in America Justins Evans ha ricevuto molti elogi, noi non possiamo che unirci al plauso: Il bambino che parlava con il diavolo è un ottimo libro, capace di far tenere il fiato sospeso fino all'ultima riga. Aspettiamo con ansia il prossimo lavoro di Justin Evans!