A 28 anni dalla uscita nelle sale del film cult di Walter Hill e a più di 40 anni dalla sua prima pubblicazione negli States, finalmente anche i fan italiani dei Guerrieri di Coney Island hanno la possibilità di sfogliare la versione italiana di “The Warriors”, secondo romanzo di Sol Yurick rimasto inedito per troppo tempo nel nostro paese e sul quale ora pende la pesante responsabilità di non deludere i fan di lunga data che, innamorati del film, potrebbero rimanere spiazzati dall'enorme quantità di differenze che passano fra le due versioni.

Diversa l'atmosfera, diversi i personaggi, diverso lo spirito avventuroso e un po' guascone a cui il film ci ha abituati, con le sue zuffe accuratamente coreografate e filtrate dal sangue, e le bande metropolitane che sembrano strappate dalle pagine stilizzate di un fumetto. Diversa la trama, soprattutto, nonostante l'inizio sia più o meno in comune: è la notte del 4 luglio a New York. Ignorando i festeggiamenti patriottici e i fuochi d'artificio, tutte le bande della città si radunano in un cimitero per trattare una tregua, spinte dal carismatico Ismael (Cyrus nel film), capo della banda più potente della città. Tra la folla, nascosti nell'oscurità ci sono anche i Dominatori di Coney Island (i Guerrieri), banda di ragazzini fra i 14 e i 16 anni composta interamente da afroamericani. L'incontro sembra procedere liscio, la alleanza fra bande prospettata da Ismael contro gli adulti, gli Altri, sembra possibile. Ma quando la polizia arriva a disperdere la folla, tutti i capibanda si sentono preda di una trappola. Spuntano le armi, partono i colpi, e nello scontro a fuoco ci va di mezzo Ismael. La tregua è saltata, e i Dominatori si ritrovano isolati nel cuore del territorio nemico, braccati dalla polizia e dalle bande rivali.

Ed è qui che i binari fra film e romanzo si separano, e che quest'ultimo mostra i propri difetti maggiori. Non essendo sospettati dell'omicidio di Ismael, e venendo a mancare la funzione antagonistica dei Rogues, l'omerico ritorno a casa dei Dominatori è meno ricco di tensione, dato che la posta in gioco è più bassa. Il risultato è che la rocambolesca fuga cinematografica dei Guerrieri, nel romanzo sembra più che altro una passeggiata nel parco. Gli unici pericoli sono rappresentati da una polizia svogliata e dallo spettro di bande rivali che non si manifestano quasi mai.

Codardi, privi di risorse e di valori etici, immaturi e non sempre svegli (un ritratto quasi antitetico rispetto ai nobili Guerrieri del film), il maggiore pericolo per i Dominatori è costituito dalla loro stessa primordiale bramosia di sangue e violenza, fatal flow che non mancherà di decimare il gruppo. Niente Rogues, niente Lizzies o Baseball Furies, niente di tutte quelle suggestioni che hanno ispirato un decennio di ottimi videogiochi arcade fra gli anni '80 e '90. Insomma, niente azione.

D'altronde, non era negli intenti di Yurick quello di realizzare un feuilleton di avventura. L'autore è più interessato alla psicologia dei personaggi, al tema del passaggio dei ragazzini alla odiata vita adulta, al mostrare senza alcuna censura le violenze efferate di cui sono capaci le baby gang di strada che lui (sembrerà strano a dirsi per chi ha in mente il surrealismo esasperato del film) ha la pretesa di dipingere come aderente alla realtà e frutto di numerose ricerche sul campo. Eppure, in questo caso “vero” non è sinonimo di “verosimile”, perché, leggendo le peripezie dei sette Dominatori, più che alle lotte sanguinarie fra Creeps e Bloods si ha l'impressione di avere di fronte dei ragazzini che giocano alla guerra con un po' troppa serietà.

Impossibile, dunque, paragonare il film al libro. Chi lo farà finirà per restare immancabilmente deluso, perché il romanzo di “I Guerrieri della Notte” ha più punti in comune con Il Signore delle Mosche di Golding che con Final Fight o la Rockstar Games. Era dello stesso parere anche il regista Walter Hill, che, avendo già in mente il progetto di un film d'avventura, non voleva nemmeno che Yurick assistesse alle riprese, per timore di doversi sorbire il solito sermone sull'intoccabilità del proprio romanzo da parte di un borioso letterato.

L'unico modo per comprendere e godersi la lettura del romanzo sarà quindi quello di dimenticare la sua sudditanza psicologica rispetto al film. Solo allora il lettore scoprirà una lettura tutto sommato gradevole, forte ed evocativa nei punti più riusciti (come nella psicologia dei personaggi di Hinton ed Hector, o nelle scene di violenza), ma stilisticamente paludosa e dalla scarsa incisività in altri punti, soprattutto nei dialoghi o nell'impalcatura traballante della storia stessa, che risente di una stesura fin troppo frettolosa (solo tre settimane) e di una scarsa tensione narrativa.

Tanta introspezione e tante descrizioni ambientali, ma pochi dialoghi diretti e poca azione. Se questo registro stilistico al lettore non pesa troppo, allora si potrà parlare di un romanzo decente ma non eccezionale, scritto da un autore non bravissimo e senza grandi successi letterari sotto la cintura. Un romanzo che i fan compreranno soltanto per rimpiangere il film, e che tutti gli altri finiranno per lasciare sullo scaffale.

Come lo stesso Sol Yurick scrive nella postfazione del libro, “I guerrieri della notte non è il miglior libro che ho scritto. E' fuori catalogo e quasi sconosciuto agli amanti dell'omonimo film. Eppure senza il libro il film non avrebbe mai visto la luce. Curioso, no?”. Curioso, sì, ma soprattutto traumatico, un po' come scoprire di non condividere alcun legame biologico con i propri genitori.