Romanzo rivelazione in Svezia, l'horror Lasciami entrare, di John Ajvide Lindqvist, sarà disponibile nelle librerie italiane (Marsilio Editori) a partire dal 26 ottobre.  Questa storia di vampiri scandinavi comincia a Blackeberg, quartiere degradato alla periferia ovest di Stoccolma, quando viene ritrovato il cadavere completamente dissanguato di un ragazzo. E' solo l’inizio di una lunga scia di morte e sembrerebbe trattarsi di omicidi rituali, delle ossessioni di un serial killer. Mentre nel quartiere si diffonde la paura, il dodicenne Oskar, affascinato dalle imprese dell’assassino, gioisce segretamente sperando che sia finalmente giunta l’ora della rivalsa nei confronti dei bulletti che ogni giorno lo tormentano a scuola... Non è l’unica novità nella sua vita, perché Oskar ha finalmente un’amica, una coetanea che si è appena trasferita nel quartiere. Presto i due ragazzini diventano più che semplici amici. C’è qualcosa di strano, però, in Eli, dal viso smunto, i capelli scuri e i grandi occhi. Emana uno strano odore, non ha mai freddo, se salta sembra volare e, soprattutto, esce di casa soltanto la notte...

La scheda del libro sul sito Marsilio: http://www.marsilioeditori.it/schedalibro.htm?codice7=3179010

L'autore:

John Ajvide Lindqvist, nato in Svezia nel 1968, è cresciuto nel quartiere di Blackeberg, a Stoccolma. Oggi definito "lo Stephen King scandinavo", ha fatto per anni il prestigiatore, è autore televisivo e ha scritto sceneggiature e testi teatrali. Best-seller in Svezia, in corso di traduzione in numerosi paesi, Lasciami entrare è il suo primo romanzo, da cui presto sarà tratto un film con la regia di Tomas Alfredsson. Di prossima pubblicazione per Marsilio, il suo secondo romanzo, Come trattare con i morti viventi.

Lindqvist in Italia:

3 novembre 2006 - Torino

Torino capitale mondiale del libro

Atrium, piazza Solferino - ore 18.00

Incontro con John Ajvide Lindqvist, introduce Luca Scarlini

 

6 novembre 2006 - Padova

Scrittori svedesi a Padova

Ikea, via Fraccalanza 1 - ore 17.30

Incontro con John Ajvide Lindqvist, introduce Sara D'Ascenzo

Lasciami entrare - l'incipit:

Il luogo

Blackeberg.

Fa pensare a quei dolci rotondi di pasta di cocco, magari fa venire in mente la droga. Una vita decente. Si pensa alla metropolitana, ai sobborghi. Poi probabilmente non viene in mente nient’altro. Anche lì, come dappertutto, ci abita della gente. È per questo che il quartiere è stato costruito, perché le persone avessero un posto dove abitare.

Non è un luogo cresciuto in modo naturale, no. Qui, tutto è stato predisposto sin dall’inizio. La gente ci è andata a vivere non appena tutto era pronto. Edifici di cemento, scagliati nel verde. Quando questa

storia ha inizio, il quartiere di Blackeberg esisteva già da trent’anni. Si potrebbe pensare allo spirito dei pionieri. Al Mayflower, a una terra sconosciuta. Sì. Immaginare case vuote che aspettano la gente.

Ed eccola che arriva!

Passando sul ponte di Traneberg con il sole e le visioni davanti agli occhi. L’anno è il 1952. Le madri portano i loro piccoli in braccio e spingono le carrozzine o li tengono per mano. I padri non portano zappe e badili, ma elettrodomestici e mobili funzionali. Con tutta probabilità stanno cantando qualcosa. Forse l’Internazionale. Oppure un salmo, a seconda del credo religioso.

Il quartiere è grande. È nuovo. È moderno.

Ma non è andata così.

Arrivavano con la metropolitana. O con le auto, o con i furgoni dei traslochi. Uno dopo l’altro. Entravano negli appartamenti vuoti con le loro cose. Le sistemavano sugli scaffali e negli armadietti su misura, disponevano i loro mobili sui pavimenti di linoleum. Ne compravano di nuovi per riempire i buchi. Quando finivano alzavano gli occhi e guardavano la terra che gli era stata data. Uscivano dai portoni e trovavano gli spazi già predisposti. Bisognava solo adattarsi a quello che c’era.

C’era un centro. C’erano spaziosi parchi gioco per i bambini. C’erano ampie aree verdi fra le case. C’erano molte stradine per i pedoni.

Un bel posto. Questo si diceva la gente seduta al tavolo della cucina qualche mese dopo che si era trasferita.

«Siamo arrivati in un bel posto.»

Una sola cosa mancava. Una storia. A scuola, dato che non esisteva, i bambini non dovevano scrivere temi sul passato di Blackeberg. Sì. C’era la storia di un mulino. Un personaggio strano.

Sorgevano strane case giù, vicino all’acqua. Ma era tanto tempo fa e non c’era alcuna relazione con il presente.

Dove ora ci sono le case a tre piani, prima era tutta foresta.

Erano lontani dai misteri del passato, non avevano neppure una chiesa. Un sobborgo di diecimila abitanti senza una chiesa.

Fa capire molto sulla modernità e la razionalità del luogo. Un luogo dove si poteva essere liberi dalle calamità e dal terrore della storia.

Tutto questo spiegava perfettamente quanto fossero impreparati.

Nessuno li vide quando si trasferirono.

A dicembre, quando alla fine la polizia riuscì a rintracciare il trasportatore che aveva effettuato il trasloco, questi non aveva molto da raccontare. Nella sua agenda del 1981, aveva soltanto scritto «18 ottobre: Norrköping-Blackeberg (Stoccolma)». Ricordava che si trattava di un uomo e di sua figlia, una ragazza carina.

«Ah, sì, fra l’altro. Non avevano molte cose. Un divano, una poltrona, dei letti. Un lavoro facile. E ricordo che... sì, volevano andarci di notte. Ho detto all’uomo che sarebbe stato più costoso. Ma non ha fatto storie. Voleva che ci andassimo di notte. Sembrava importante. È successo qualcosa?»

La polizia gli raccontò quello che era successo, chi aveva portato nel suo camion. Sbarrò gli occhi e fissò l’appunto sulla sua agenda.

«Che mi venga un colpo...»

L’uomo fece una smorfia come se la sua calligrafia lo disgustasse.

18 ottobre: Norrköping-Blackeberg (Stoccolma)

Era stato lui a portarli lì. L’uomo e sua figlia.

Non lo avrebbe detto a nessuno. Mai.

INTERVISTA A JOHN AJVIDE LINDQVIST

Per prima cosa, puoi raccontarci qualcosa di te?

Per molti anni, la mia intenzione era di diventare un mago, ho anche partecipato a molti concorsi di magia, vincendone qualcuno. Ma non ha funzionato, così invece sono diventato un cabarettista. Ho fatto cabaret per dodici anni, e negli ultimi tre ho anche scritto materiale per altri comici svedesi. Ho poi scritto copioni teatrali “seri”, nessuno dei quali è mai stato messo in scena. Per lo più, mi guadagnavo da vivere scrivendo battute divertenti per la TV e per altra gente.

L’horror è da sempre una delle mie passioni, ma inizialmente non avevo preso in. considerazione la possibilità di scrivere qualcosa in quel genere. Poi nel 2002 finalmente ci ho provato con un racconto, che è risultato abbastanza spaventoso, così mi sono detto: “Ok, pare che lo sappia fare” e ho scritto un intero romanzo, Lasciami entrare.

Hai ottenuto grande successo con dei romanzi horror, un genere non molto comune in Svezia. Perché hai scelto di scrivere narrativa dell’orrore?

L’horror non è poco comune nel mio paese, non esiste proprio. Anche se io ho avuto tanto successo coi miei libri, continua a non esserci nessun altro romanziere dell’orrore in Svezia. Ma forse le cose cambieranno prima o poi.

Scrivo horror perché come scrittore ho imparato che bisogna scrivere di ciò che si sa, e forse anche di ciò che si ama. Io so molto poco dei poliziotti, e li amo ancora meno. Non ho la pazienza di studiare la Storia. E così via. Quello che conosco, e che in una certa misura amo, sono le cose in agguato negli angoli bui. Del mondo. Della mente.

Mi sono dato all’horror perché concede la massima libertà. Puoi metterci dentro di tutto. Poliziotti, se vuoi. Storia, amore o rane geneticamente modificate. Qualsiasi cosa, purché abbia risvolti sinistri. E purché alla fine arrivino i mostri.

Inoltre, l’horror è un modo meraviglioso di esplorare la mente umana e affrontare gli interrogativi esistenziali. Questa è la specifica bellezza del genere: è uno strumento per dissezionare la mente umana, per tratteggiare la psicologia delle situazioni estreme.

Il tuo primo romanzo, Lasciami entrare, parla di vampiri. Qual è stata la tua personale interpretazione di questo tema classico, che innovazioni hai introdotto?

La mia innovazione – e questo vale per tutto ciò che scrivo – consiste nell’esplorare il tema per ciò che realmente è. Ovvero: se i vampiri esistessero veramente, come sarebbe la loro vita? Non credo che avrebbe molto a che fare con l’immagine romantica e affascinante che gli viene attribuita di solito. No. Avremmo una persona o una creatura costretta a uccidere altra gente e berne il sangue per sopravvivere. Più probabilmente sarebbe una vita assai dura, triste e disgustosa da vivere. Inoltre, il mio vampiro è una ragazzina. Una ragazzina molto vecchia. Il che rende la sua esistenza ancora più tragica. La storia in gran parte è incentrata su dei bambini o degli adolescenti pieni e sui loro problemi. E su un gruppo di adulti alcolizzati alle prese con la difficile decisione di diventare cacciatori di vampiri.

Quello che ho cercato di fare è immaginare cosa succede quando un vampiro arriva in una grigia periferia svedese. E ho cercato di esplorare il tema con questa domanda in mente: “Cosa accadrebbe davvero, se ci scordiamo della tradizionale mitologia vampiresca?” Ho lasciato da parte quasi tutto il tradizionale armamentario, le croci, l’aglio e così via, concentrandomi su un dettaglio meno conosciuto del folklore sui vampiri: se un vampiro vuole entrare in una casa, ha bisogno di essere invitato.

Da questo punto di vista, il romanzo parla anche d’amore, il titolo può anche essere letto come una raccomandazione: tieni aperta la porta. Lascia entrare l’amore o la distruzione. Ma lascia che accada. Adesso.

So che è in preparazione un film tratto dal libro.

Lo dirigerà Tomas Alfredsson (vincitore nel 2004 del Best Swedish Film Award). Io ho scritto la sceneggiatura e le riprese inizieranno nel febbraio 2007. E’ prevista una distribuzione internazionale, per cui spero che sarà possibile vederlo anche in Italia.

Il tuo secondo romanzo, Come trattare con i non-morti, parla di zombie. Puoi parlarcene?

Volevo scrivere qualcosa sugli zombie perché mi sono sempre piaciuti un sacco e ho visto parecchi film (sì, anche italiani, tipo quelli di Lucio Fulci). Ma, come sempre, mi sono chiesto: “Se i morti tornassero dalla tomba, come sarebbero, davvero?” Per prima cosa, ho deciso che non sarebbero stati aggressivi, ed è già una piccola rivoluzione, visto che tradizionalmente questa è l’intera natura degli zombie. Secondo me infatti più verosimilmente non vorrebbero altro che tornare a casa e riprendere la loro vita come se niente fosse. Le parti orribili della storia così non riguardano direttamente gli zombie, ma quello che fanno i vivi per via della loro paura degli zombie.

Ultima domanda: progetti per il futuro?

Oltre a Lasciami entrare, anche Come trattare con i non-morti diventerà un film, così come un racconto tratto dal mio ultimo libro. Attualmente sto scrivendo un romanzo più epico ambientato nell’arcipelago di Stoccolma e incentrato sui poteri sinistri del mare. Ma ci sono anche due fantasmi adolescenti che amano alla follia gli Smiths, tra le altre cose. Mi sono concesso due anni per scriverlo, perché prevedo che sarà assai lungo. Molte, molte pagine.