Comincia subito a fare le cose sul serio, questa Ferrara Edizioni sorta sulle ceneri della vecchia G.Ho.S.T. Edizioni. Ecco Diabolus in musika, una trilogia, parola che farebbe subito venire in mente il genere fantasy, di questi tempi. Invece questa è tutta horror ed è firmata da Walter Diociaiuti.

Tre città: Praga, Milano e la fantomatica Keshville che forse non esiste. Una band di rock progressivo negli anni settanta, un giovane bluesman italiano che nel decennio successivo perde la cognizione del suo tempo, un chitarrista americano che vive gli anni Novanta oscillando tra una storia d’amore e le fiamme invisibili di un inferno desertico. Un filo rosso unisce queste storie: la musica, e il male che prende forma lentamente per espandersi a macchia d’olio e divenire più oscuro della tenebra stessa.

La musica delle sfere oscure

Prefazione di Danilo Arona

Si chiama “Rock Horror Fiction”, (sotto)genere di punta negli Stati Uniti grazie ad autori come Ray Garton, David J. Schow, John Skipp e Craig Spector. In Italia, ovvio, tira un po’ meno. Già gli scrittori che si cimentano in modo esplicito con l’horror tout court sembrano venditori di ghiaccio in una landa siberiana, forse per colpa del troppo orrido ciarpame che ci colpisce quotidianamente dal tubo catodico. Figuriamoci se qualcuno di loro decide di limitarsi ad una sola stanza, specifica e particolare, del gotico contemporaneo, quella che, appunto, indaga sui rapporti tra lo zolfo infernale e il potere della musica. Probabilmente si corre il rischio di guadagnarsi una decorazione, alla memoria, sul campo.

In realtà non sono così pochi né così folli. Una presaga, clamorosamente in anticipo, antologia del 1984 L’hotel dei cuori spezzati, edita da Gammalibri, di cui si è persa immeritamente traccia, ospitava una quindicina di autori nostrani che si cimentavano, già allora, con il fantasma di Elvis dalle parti di Memphis e con quello di Nina Hagen nelle strade di una Berlino post-atomica, con il destino voodoo di Jimi Hendrix e le enigmatiche morti di Janis Joplin e Brian Jones, il tutto immerso in un brodo primordiale di alieni, spettri, universi paralleli, demoni, replicanti e droghe sconosciute. Pochissime opere ne seguirono le orme dagli anni Ottanta a oggi, almeno sul mercato italiano. Un’antologia, sapientemente composta da Gianni Pilo per Fanucci, L’orrore nella musica, che all’inizio degli anni Novanta raccoglieva dei racconti “minori” sull’argomento di ultraclassici autori anglosassoni (Poe, Lovecraft, Merritt, James, Hoffman, Bloch e altri), rimpolpati con curiosi contributi italiani (Ghislanzoni, Salvaneschi e il contemporaneo Luigi Cozzi) e varie schegge qua e là, senza alcuna sistematicità, che s’intrallazzavano più con il noir che con l’horror propriamente detto, da Corrado Marzaduri (Rito mortale e Clapton) ad Outland Rock di Cacucci. Agli antipodi, se vogliamo, la situazione di mercato negli USA. Perché, sull’altra faccia della Terra, sin dagli anni Settanta era giunto un tal Stephen King che con il rock e la musica in genere andava più o meno sempre a braccetto, talmente infarcita risulta la sua narrativa di rimandi alla mediatica pop culture contemporanea. E con lui Anne Rice, il cui vampiro Lestat si trasformava in rock star metaforizzando al contempo il vampirismo capitalistico e quello animistico messo in atto dal potere ipnotico di certa musica contemporanea. E altri nomi ancora tra gotico e noir, Harlan Ellison, Robert McCammon, Glen Singer, Garton, Schow, Skipp & Spector, Marcel Montecino e Gregory Benford.

Detto questo, però, la categoria in cui inserire scrittori come Diociaiuti non esaudisce del tutto i parametri di cui sopra. La maggior parte degli scrittori, oscuri e/o celeberrimi, che bazzica la rock fiction scrive e basta. Non sono molti quelli che hanno anche suonato o che suonano sul serio. Solo chi ha fatto il musicista professionista in oscure band o orchestre da balera sballottate a ritroso per la penisola o per i cinque continenti ha sfiorato con mano il cuore, forse marcio, del problema: quelle “certe notti” (il Liga è uno che se ne intende e non a caso gli va stretta la sola professione del musicista…) in cui devi essere sveglio come non mai perché quel Grande Assassino di Professione che si nutre del buio e del buio si fa forma arriva sino a te con le sue ali nere e con il travestimento in voga in quel momento, serial killer o bogeyman, collega musicista o strafica che ancheggia con i suoi occhioni e tutto il resto da sotto il palco. Perché suonando, soprattutto girando il mondo a far musica, ti abitui a camminare sopra una strana poltiglia esistenziale che è un luogo spazio-temporale che chiamiamo Notte per convenzione, ma è anche il lato oscuro dell’anima, l’altra faccia della luna, il regno dell’Ombra junghiana e il terreno delle apparenze. Non se ne scappa, la musica, quella live, la si fa e si produce di notte, quando si producono anche vampiri, spettri e tutte le altre deformazioni dell’incubo (il pavor nocturnus) che sempre trovano spazio nelle analitiche elaborazioni diurne. Inutile far finta che il rock (ma anche altre musiche cosiddette “colte”) con tutta questa teatralizzazione dell’inconscio non abbia a che fare. Il rock, ma anche i sussulti profondi del rave. La trance ipnotica dei raduni clandestini sulle montagne. Le dissonanze streganti di “notti altrove” a Ibiza. Le feste Manummission e i live di Marilyn Manson. Tutto ciò è anche “horror” perché riesce a dar forma a quel male aspecifico che nella notte si nasconde e di cui tutti hanno paura. Bene, Diociaiuti che fino a poco tempo fa ha fatto il chitarrista professionista di tutto ciò ne sa bene e ne fa storia. Gli orrori sono vissuti “dall’interno”, e si sente. I suoi musicisti sono a perfetta conoscenza che si stanno cacciando nei guai, ma continuano a suonare “perché l’oceano è grande e fa paura” e “perché la musica non deve finire mai, comunque” (Tornatore e Queen).

Il “Diabolus in Musica” evocato con una “Kappa” connotativa di differenza da Diociaiuti si riferisce ad un intervallo di tritono proibito nella musica sacra e chiamato dagli anglosassoni “il campanello della porta di Satana”. Non a caso (nulla avviene a caso nel mondo della musica) questa “dissociazione armonica” apre canzoni come Purple Haze di Jimi Hendrix e non pochi pezzi degli Slayer e i Sepultura, per limitarmi a quelli che conosco direttamente. E’ un’ovvia metafora per quella “maligna” presenza che battisti e fondamentalisti di ogni era intendono come reale attraverso più o meno famose “tesi del complotto” che partono dai messaggi subliminali “criptati” in molti dischi rock per giungere alla presenza di Belzebù in persona negli studi di registrazione della Atlantic. Pur senza dimenticare che la musica ha, in ogni caso, “effetti” riscontrabili anche a livello psicofisico, il velo dell’arte può stendersi pietoso su tal genere di diatribe per farle sue attraverso l’elaborazione letteraria. E proprio di questo parla la pregevole triade musical-horror di Walter Diociaiuti, della “possibilità” che, dietro l’ossessione per il blues e la follia di un emulo di Paganini, possano realmente esistere quelle forze infere che vivono di notte e che folclori e religioni, pur con migliaia di nomi di battesimo diversi, hanno identificato in un unico, totalizzante archetipo. Diabolus, appunto.