Sam è una giovane madre che frequenta un gruppo di donne amanti dello sport estremo. Al termine di una spericolata discesa fra le rapide nel nord della Gran Bretagna, un tragico incidente stradale la priva della sua famiglia e stabilità psicologica. Sin dal suo risveglio in ospedale comincia ad essere tormentata da una serie di incubi e visioni legate soprattutto alla morte della figlia prima del suo compleanno. Dopo un anno, Juno, sua cara amica, per cercare di farle dimenticare il trauma decide di organizzare un’escursione speleologica in delle grotte sui monti Appalachi. Quella che era iniziata come una piacevole avventura di un gruppo di amiche diventerà ben presto un’esperienza infernale quando le sei si ritroveranno bloccate a causa di una frana in un nuovo sistema di gallerie inesplorate, e ben presto si accorgeranno di non essere sole.

The descent è il nuovo film di Neil Marshall, regista di Dog soldier, che aveva già fatto discutere per il fatto che fosse la sua prima prova (escludendo il deludente Combat del 1999).

Il giovane regista, nato a Newcastle nel 1970, ci presenta questa sua nuova pellicola che ne conferma le qualità alla regia e il gusto per quello che oggi, in epoca di horror “vietati ai maggior di 18 anni”, potrebbe essere considerato eccessivo da molte società di distribuzione.

In effetti The descent si presenta come una pellicola estrema, con scene di una crudezza che non si vedeva sul grande schermo da una ventina d’anni: mutilazioni, pasti cannibali che non lasciano nulla alla fantasia, fratture con ossa esposte dentro la camera, violenti combattimenti con crani sfondati e giugulari tagliate, e tanto, tanto sangue. Abbastanza per annegarci. Coloro che pensano che l’apice del gore sia stato raggiunto all’inizio degli anni ’80 nelle pellicole italiane tipo Cannibal holocaust dopo la visione di questo film dovranno ricredersi.

Procediamo con ordine: il lungometraggio è composto da un breve antefatto ambientato in Gran Bretagna (dove possiamo già vedere un incidente stradale notevole dal punto di vista splatter) che termina con la sequenza altamente d’effetto del risveglio all’ospedale di Sam e dalla vicenda principale, divisa in due dalla comparsa degli “striscianti”, dove l’azione si sposta in avanti di un anno, negli Stati Uniti, più precisamente sulle montagne orientali (luogo già famoso nella cinematografia horror come zona abitata da comunità rurali isolate regredite da pratiche d’incesto, come in Wrong Turn e Un tranquillo weekend di paura, per citare solo due opere).

La prima ora del film è dedicata all’antefatto, alla presentazione individuale delle sei donne (molto efficace, certamente lo spettatore è più colpito dal vedere la morte o agonia di un personaggio che ha imparato a conoscere, rispetto a degli omicidi seriali di semplici comparse o figure stereotipate come in molti slasher movie) e alla prima parte del viaggio nelle viscere della terra. In questa parte il regista riesce a creare una sensazione di disagio e attesa tramite piccoli particolari che dimostrano che qualcosa non va, come il sogno di Sam o l’inquietante amuleto appeso fuori dalla baita affittata dal gruppo, sapientemente mostrato ma mai ostentato. Nelle grotte l’uso delle luci delle speleologhe che illuminano il set lascia

all’immaginazione dello spettatore cosa avviene oltre il raggio delle lampade.

Il viaggio nelle grotte, con i suoi pericoli e i suoi spazi angusti, risulta già angosciante, ma l’ultima parte del film, con la comparsa delle creature chiamate “crawlers” (striscianti) risulta veramente un vero e proprio delirio di gore e violenza, in una quantità difficilmente prevedibile per una produzione d’oggi. E’ interessante notare che l’orrore non deriva dall’aspetto degli striscianti (anzi, al contrario, sembrano la versione incattivita di Gollum!) ma dalla loro capacità di sbucare dalle tenebre e attaccare le protagoniste cercando direttamente di sbranarle e dalla reazione delle donne, in particolare Juno e Sam, che dopo lo shock iniziale si difendono con il loro equipaggiamento speleologico in maniera alquanto efficace, pure troppo, per alcune loro sfortunate compagne.

Il viaggio di Sam nel nido degli striscianti si tramuta in un incubo a base di sangue, squartamenti e ossa umane, tanto da ricordare precedenti famosi come la casa di Non aprite quella porta e quella di Phenomena, e gli effetti psicologici della traumatizzante vicenda si scorgono bene nell’evoluzione, o meglio regressione allo stato animale delle sopravvissute.

Riguardo il cast, come nel precedente Dog soldier, Marshall ha optato per attrici e attori pressoché sconosciuti al grande pubblico, ma che risultano estremamente credibili e in grado di impersonare ruoli a tutto tondo e facilmente distinguibili fra loro. A differenza di molti horror di questi anni gli effetti speciali, senza alcun ausilio di computer grafica, sono estremamente realistici (la scena della ricomposizione della frattura è da sala operatoria e impressiona non poco) e la direzione di Marshall si dimostra in grado di trasformare una trama molto semplice e poco originale (personaggi vanno in un luogo buio e trovano i mostri) in qualcosa di estremamente d’effetto; da segnalare anche la presenza di un finale doppio che finalmente funziona, lasciando lo spettatore alquanto perplesso.

In conclusione, The Descent è il miglior horror della stagione ed è certamente da vedere, sperando che venga distribuito anche in Italia, e conferma l’ottimo stato di salute del genere nel Regno Unito, che non produrrà tante pellicole come gli Stati Uniti, ma che almeno non si basa su canovacci già visti (Boogeyman, Cursed), remake giapponesi (la serie Ring, Ju-On, Dark water) o di successi del passato (l’imminente La Casa e Le brigate della morte) ma su idee originali (da citare anche il recente Creep) e registi ancora in grado di affermare la propria indipendenza da dettami del botteghino come Neil Marshall.