1) KINGS OF EVIL. Visto il titolo del brano e quello dell’intero album, la partenza con un arpeggio acustico ci sorprende quanto quella dello struggente assolo d’apertura; anche il successivo, energico avvio resta di stampo assai classico grazie al semplice ma efficace riff; un breve assolo però prende il posto di quello che, a seguito del bridge, avrebbe potuto essere un prevedibile ritornello, e ci riporta ancora una volta alla strofa, sconvolgendo ogni schema: da qui in poi niente è più scontato, perché ci viene fatto assaggiare brevemente l’accompagnamento del bridge prima di una nuova strofa, e l’anthemico ritornello parte infine senza preavviso, costruendosi volta a volta su schemi armonici e ritmici diversi, quasi a voler entrare in ogni modo nelle nostre menti: dobbiamo abbandonare ogni falsa dottrina che ci ha fatto perdere ogni speranza e seguire i “Re del Male” che combattono per una nuova creazione. La voce ha toni malefici e i cori finali sono di un’orecchiabilità che ‘tenta’.

 

2) HORRIBLE EYES. Un carillon e un coro dissonante di bambini, tipico di certi horror movie degli anni ’70, precede in modo sinistro quello che è, probabilmente, il riff chitarristico più noto dell’intera produzione dei Death SS. Impatto e presa immediata dipendono anche dal fatto che pure la linea vocale della strofa segue quella melodica del riff, tanto che potremo affermare che lo schema della canzone non è strofa-ritornello, ma chorus-bridge, dove l’hook è quello che abbiamo chiamato in precedenza strofa, unitamente al riff, e il bridge quel “Humanity needs new generations/so don’t be surprised by their horrible eyes” che non si discosta comunque troppo dalla linea melodica principale. Il brano si sviluppa poi in uno snervante vocio infantile che sfocia in un tetro recitativo derivato dal testo dell’Apocalisse (l’avvento della Bestia) e sostenuto dalle acrobazie del basso. Si riparte dunque col riff e il bridge e si torna dove eravamo partiti: incantevole il rumore del carillon che viene chiuso, e la meccanica…

3) CURSED MAMA.... lascia il posto all’elettronica, con archi sintetici che accompagnano un organo. L’introduzione della terza traccia si protrae per oltre un minuto e mezzo, prima di lasciare il posto a un veloce assolo. A differenza del brano precedente, per l’eccessiva velocità e l’impianto ancora più complesso, qui si farebbe fatica a trovare un punto su cui far presa, fatta eccezione per l’esclamazione corrispondente al titolo (la “Madre Maledetta”, l’ “Orribile Signora” che tornerà anche nei dischi successivi sotto altre vesti), ma ci viene in aiuto il passaggio chitarristico che segue il ritornello, gioiello e vertice massimo dell’intero brano.

 

4) BURIED ALIVE. Un nuovo arpeggio acustico è stavolta accompagnato dal rumore della terra scavata e, ancora una volta, la svolta ci sorprende dando il via a un brano aggressivo, armonicamente scarno e carico di violenza ritmica, dominato di conseguenza da basso e batteria. I tentativi di liberarsi del sepolto vivo, intrappolato nel suo tardivo pentimento, sono abilmente descritti dai dissennati battiti sulle pelli e dal funambolico basso.

5) WELCOME TO MY HELL. Sospeso fra il sogno e l’incubo, il malinconico e il funereo, l’ironico e il malefico, la ninna-nanna e l’incantesimo, l’invito all’Inferno è sicuramente fra gli episodi più accattivanti del disco. Gli arrangiamenti sono curatissimi: il dondolio dell’arpeggio e il lavoro della sezione ritmica rendono ottimamente l’effetto della nenia; la teatralità della voce è portata agli estremi nonostante si mantenga prevalentemente su toni sommessi; l’assolo e le sezioni in tonalità maggiore c’ingannano sugli intenti malvagi del nostro interlocutore (nel finale veniamo addirittura stregati da un sax in lontananza), e “quando conosceremo il prezzo sarà troppo tardi”.

6) DEVIL’S RAGE. Caratterizzato dall’inserzione di campionamenti, è il brano più tipicamente speed e violento dell’intero lavoro. Il riff, avvinghiato alla batteria, è di immane ferocia; del resto stiamo parlando della furia del Diavolo e della natura, della fine del mondo, a catastrophe of terrible violence! La batteria è un “vulcano che erutta lava bollente”, la chitarra “il vento di morte che distrugge gli alberi”. “Mankind can't escape from the Devil's rage!”.

7) IN THE DARKNESS. Iniziale tappeto sintetico per quella che si configura come la rituale ballata dell’album. Incorniciato fra i maligni temi del brano che lo precede e quello che lo segue, sorge improvviso e puro questo disperato lamento intriso di lugubre romanticismo: riportare in vita l’amore perduto. Le perle melodiche sono il ritornello e l’assolo, soprattutto quando nel finale ‘si riuniscono’ sugli acuti, quasi a simboleggiare il ricongiungimento del protagonista con l’anima della persona amata.

8) BLACK MASS. Questa trasposizione in musica di una messa nera (comprende sia sezioni in inglese che in latino), anche se sotto un unico titolo, è in realtà una suite multisezionata con richiami alla colta (la polifonia medievale, la musica per organo barocca e il sinfonismo romantico). Per la gran parte della sua durata offre alle voci in recitativo solo accompagnamenti derivati dall’elettronica o schemi armonici essenziali, fatta eccezione per quello su cui poggia l’inserto ‘progressivo’ del sax. L’intero impianto, considerata anche l’aggiunta di svariati campionamenti, è decisamente complesso e la sperimentazione, giunta per il momento all’apice, farà in seguito spazio a un lavoro (relativamente) meno impegnato.

00. Introduzione

01. In Death of Steve Sylvester

03. Heavy Demons

04. Do what thou wilt

05. Panic

06. Humanomalies

07. The Seventh Seal