In un panorama italiano poco avvezzo al genere horror, nel 2005 Chiara Palazzolo, già autrice de La casa della festa (Marsilio 2000) e I Bambini sono tornati (Piemme 2003), conquista il pubblico italiano con il primo romanzo della trilogia di Mirta/Luna Non mi uccidere, che diventa velocemente un cult del genere vendendo più di 50.000 copie. Prima del fenomeno Twilight, che ha letteralmente ridisegnato il panorama editoriale italiano ridando respiro al genere fantastico, audacemente la Palazzolo ridefinisce con originalità e macabra ironia i canoni classici del vampiro, da Bram Stoker ad Anne Rice, delineando una figura soprannaturale che lambisce anche le caratteristiche proprie degli zombie. Nasce l'inquietante, sanguinaria e seducente figura dei sopramorti: affamati di carne e sangue. Affamati di vita. E la protagonista di questa trilogia è una di loro.

La morte è vorace e non concede seconde possibilità. Travolge, distrugge, cambia. E' quello che succede a Mirta, una giovane studentessa che muore per amore sullo sfondo nauseante di una discarica, in una notte stellata cullata dalle note aggressive e malinconiche di Cat Stevens. Eroina e amore tossico. Un mix letale, che inizierà Mirta a un nuovo mondo, vivo e pulsante. Lo specchio oscuro del mondo degli umani, che rivela le paure e i desideri reconditi insiti nell'anima di ogni uomo, senza quel velo di apparenza e ipocrisia che li ricopre.

Pagina dopo pagina, accompagnati da un'atmosfera claustrofobica dipinta con feroci pennellate scarlatte, la voce segreta di Mirta/Luna ci sussurra nella mente stordendoci, consegnandoci confidenze e segreti, che altrimenti sarebbero rimasti sommersi e sconosciuti. Un flusso di coscienza semi-ininterrotto, la scelta narrativa dell'autrice, che ci conduce per mano nella psiche della sua protagonista rendendoci muti partecipi del suo dramma e della sua tormentosa oscillazione tra l'umanità sfiorita e la sua discesa verso il feroce abbraccio del mondo dei sopramorti e dei benandanti. Una metamorfosi, che porterà Mirta a scegliere per l'eternità il suo alter ego zombie: la splendida e irrefrenabile Luna.

Un'esperienza letteraria estraniante e parossistica. Un horror italiano firmato da una maestra del genere, Chiara Palazzolo, che con la sua voce caratteristica delinea una trilogia che riflette le incertezze e le ansie della vita comune, instillando inquietudine nel lettore e lasciando nella sua intimità gli strascichi della sua narrazione, quelle increspature irrisolte che animano l'immaginazione.

La Palazzolo non ha nulla da invidiare alle colleghe d'oltreoceano, quali Laurell K. Hamilton e Charlaine Harris, e continua a regalarci dei piccoli gioielli letterari da custodire gelosamente, non ultimo Il Bosco di Aus, recentemente pubblicato da Piemme.

Quando hai pubblicato nel 2005 Non mi uccidere, il primo della tua trilogia, il genere letterario horror e paranormal legato alle figure dei vampiri e altre figure soprannaturali era inesistente in Italia. Solo grazie al successo mondiale di Twilight anche il nostro paese si è aperto a questo genere di letteratura. Cosa ne pensi di questo fenomeno che si è andato diffondendosi? Continuerà sulla cresta dell'onda oppure è destinato a scomparire per far spazio a qualche altro trend nascente?

Non ne ho la più pallida idea… non ho mica la palla di vetro per predire il futuro. I generi legati alle mode, peraltro, mi interessano poco. Io scrivo solo quello che sento profondamente. Tanto è vero che quando ho pubblicato Non mi uccidere l’horror in Italia era un genere poco praticato. E comunque Non mi uccidere ha riscosso successo in libreria ben prima della pubblicazione di Twilight. Peraltro, come lettrice non seguo filoni particolari. Mi baso esclusivamente sul mio gusto, e leggo i libri più disparati. Per fare un esempio, attualmente sul mio comodino ho Il libro delle bugie, splendido romanzo di esordio della scrittrice inglese Mary Horlock, e Libertà di Jonathan Franzen. Mi piace mescolare, sia quando leggo che quando scrivo insomma.

Cosa pensi del pregiudizio secondo il quale uno scrittore di fantastico debba concentrarsi solo sulla trama, rispettare i canoni e non cedere a tentazioni letterarie?  Stephen King diceva che a interessarlo non sono le cripte e i mostri, bensì le emozioni degli esseri umani. Quali sono le tue considerazioni a riguardo?

Posso sorridere? Non ho capito bene, per scrivere genere bisogna scrivere male? O modestamente? Ma chi mette in giro certe voci? Certo che ha ragione King! Ma non solo, ovviamente. Faccio un esempio alla portata di tutti: Simenon, il creatore di Maigret. Un giallista, uno scrittore di genere di grandissima capacità espressiva che rimarrà nella storia della letteratura tout court.

Non mi uccidere
Non mi uccidere

Nella tua trilogia dedicata a Mirta-Luna crei una nuova figura soprannaturale a metà tra vampiro e zombie. I sopramorti hanno i poteri dei vampiri ma possono stare alla luce del sole, sono simili anche agli zombie ma non perdono la loro coscienza e conservano i ricordi della loro esistenza. Da dove nasce l'idea dei sopramorti?

Dalla rabbia della giovinezza, che tutto vuole e poco o nulla riesce a ottenere davvero. I sopramorti sono, per dirla con Max, uno dei personaggi-chiave della trilogia, le vittime della passione, i figli del day after, i sopravvissuti per sempre. Coloro che si levano dalle tombe in cerca delle loro vite perdute. Tecnicamente, dal punto di vista del genere, sono zombie. Ma metaforicamente sono tutti coloro che hanno visto spezzata la loro giovinezza, naufragati i loro sogni, cancellate le loro speranze. I sopramorti, insomma, siamo noi.

Innesti nei tuoi romanzi dalla cornice fantastica anche delle figure storiche realmente esistite i benandanti, una setta che in Ti porterò nel sangue lotterà contro i sopramorti per sterminarli. Come mai questa scelta? Cosa ne pensi della commistione di generi? Credi sia la soluzione per trovare l'originalità in un mercato editoriale ormai saturato da romanzi paranormal che si somigliano tutti pericolosamente?

Assolutamente sì. Bisogna essere originali, altrimenti che si scrive a fare? Per ripetere calchi e stilemi altrui? Per farsi epigoni di questo e di quell’altro? Io adoro gli ibridi, le contaminazioni, le commistioni. Per questo ho innestato i benandanti, una setta di stregoni buoni che operavano in Friuli a cavallo tra Cinquecento e Seicento, nella mia trilogia. E l’innesto li ha cambiati. Resi diversi – e cattivi: invidiosi della immortalità dei sopramorti e avidi di impossessarsi dei loro patrimoni colossali, accumulati nei secoli. Certo, non è che i sopramorti siano buoni… francamente, sono feccia tutti e due i gruppi.

Il tuo stile è spezzato, frammentario, scabro ed essenziale all'estremo. Un flusso di coscienza semi-ininterrotto della protagonista in cui si notano l'assenza di dialoghi. Impossibile non notare questo tipo di narrazione inusuale e che sembra ricalcare il trauma della rinascita di Mirta. Quali sono state le influenza letterarie? Hai scelto consapevolmente questo tipo di stile per adeguarti anche alla storia narrata o è qualcosa di naturale?

Credo che la struttura classica della frase, perlomeno a livello letterario ha fatto il suo tempo. La scrittura sghemba e frammentaria della Trilogia nasceva a ridosso del trauma dell’11 settembre. Dell’illusione di un mondo pacificato andata in pezzi. Abbiamo bisogno di linguaggi nuovi per esprimere la modernità. Ma questa non è un’esigenza solo di oggi. Pensiamo a Hemingway, che a metà del Novecento rinnova il linguaggio, scorciando i dialoghi e riducendo il periodo alla semplice frase. Perché lo fa? Perché ha visto gli orrori delle guerre, gli uomini morire in stragi di massa. E allora scrive “in un altro modo”. Ma pensiamo ancora a Carver, uno dei massimi scrittori statunitensi, il testimone della fine del sogno americano, che negli anni Ottanta riduce la frase hemingwaiana a frammento. E pensiamo anche a maestri del romanzo contemporaneo come McCarthy o Saramago, che hanno bandito il virgolettato dai dialoghi. Ovviamente si tratta sempre di scelte consapevoli e volute. Un modo di approssimarsi allo spirito del tempo per coglierne il dettato semantico.

Si è parlato spesso di una trasposizione cinematografica di Non mi uccidere per conto della R&C Produzioni, di Tilde Corsi e Gianni Romoli. L'uscita era attesa per il 2008, perché la trasposizione cinematografica è stata rimandata? Riusciremo mai a ritrovare la nostra eroina dark Mirta-Luna sul grande schermo?

Speriamo proprio di sì. E’ difficile in Italia realizzare facilmente un progetto cinematografico innovativo come questo. Tuttavia il progetto è stato rimandato ma non annullato. La sceneggiatura di Gianni Romoli è finalmente pronta. Ed è fantastica. Ancora un po’ di pazienza…

Mirta/Luna è affamata. Di amore, prima che di carne umana. Carla è affaticata. E' l'amore che consente il cambio di status da studentessa universitaria a sopramorta nel primo caso, è il peso di un'esistenza che solo in apparenza non ha profondità a far sì che anche la vita di Carla sterzi verso le tenebre. In ogni vita, sembri dire sia nella trilogia sia nel nuovo romanzo, esistono possibilità oscure. E’ questo l’ingrediente principale che ti piace esprimere attraverso l’horror?

In verità, le “possibilità oscure” – bella questa espressione! – sono proprio quelle che mi spingono a scrivere un nuovo romanzo. Che sia horror o meno, chi se ne importa. Io sono attratta dal perturbante – quel che non ci può essere e invece è qui di fronte a te e ci devi fare i conti. Posso sollevare solo un’obiezione? Mirta non è affamata di amore, ma di vita. Vale a dire, lei “crede” di essere innamorata di Robin. Ma ci ho messo una trilogia intera per dimostrare, a lei e a tutte le ragazze come lei, che lo detesta!

Nel bosco di Aus sembra segnare ancora una svolta. Non più una protagonista molto giovane, ma una donna di quarant'anni. Non un'eroina, ma un'insegnante di provincia, una madre di famiglia, una moglie attenta alla riuscita sociale, in lotta per conciliare lavoro e cura della casa come milioni di altre donne. Un totale cambio di ambientazione. Qual è il motivo?

Ma io amo cambiare! La protagonista del mio primo romanzo, La casa della festa, era una signora romana perbenista e arrivista, assolutamente odiosa. Quella del mio secondo romanzo, la dolente Marella de I bambini sono tornati, una madre trentenne che perde i suoi piccini e cade in un gorgo di dolore irrimediabile. Mirta una ventenne umbra. Carla una quarantenne di provincia, mentre la deuteragonista del Bosco di Aus è una Amanda Satriani settantenne… Si tratta di donne dalle età e dalle provenienze sociali e geografiche disparate. Mi piace calarmi in panni sempre nuovi. Lontanissimi da come io sono. Mi fornisce delle vite alternative, un allargamento della conoscenza e dell’esperienza. E tutto questo è fantastico. E’ questa la libertà della scrittura. Una infinita fuga da se stessi e dalle angustie del proprio io.

Non è frequente trovare romanzi che parlino del potere del femminile. Sembra, anzi, che se ne abbia piuttosto timore. Nelle tue storie horror, invece, il potere delle donne è in primo piano. Penso alla lenta trasformazione di Mirta, che spezza anche le regole dei Sopramorti, e al coraggio di Carla nel lottare per salvare quel che le viene sottratto, recuperando in se stessa una forza che viene da lontano e che ha dormito nel suo sangue. La domanda è d'obbligo: è più facile per una scrittrice servire la Dea, e raccontare le donne?

Nel Bosco di Aus
Nel Bosco di Aus
Non sono nata ieri, ragazze. Ero una ragazzina negli anni Settanta, partecipavo ai movimenti delle donne, andavo in piazza a protestare. Adesso sembrano altri tempi, ma io nel potere delle donne ci credo. Ci credo politicamente, intendo dire. Molta parte del mio lavoro si muove dentro questa prospettiva. Per questo nei miei romanzi il tema del corpo delle donne è centrale. Lo era nella trilogia – basti pensare ai corpi (non alle anime!) che tornano dalla morte, con la loro rabbia e la loro fame. E lo è a maggior ragione nel Bosco di Aus, dove il nucleo intorno a cui ruota l’intera narrazione non è la mente – banale e superficiale – di Carla, ma il suo corpo. E’ il corpo di Carla la posta in gioco della lunga, terribile partita a burraco che si snoda lungo il romanzo. E’ il corpo di queste donne, di queste streghe spietate e voraci, il terreno stesso dello scontro. Come lo è da sempre il corpo femminile. Negato, ostracizzato, demonizzato, mercificato. Potremmo scrivere la storia solo basandoci sulle mutazioni che il corpo femminile ha subìto nei secoli.

Cosa c’è nel futuro di Chiara Palazzolo? Continuerai a dedicarti ai romanzi di genere o tenterai la scalata su altri media (Tv, cinema e Graphic Novel)?

Cosa dovrei scalare… soffro anche di vertigini! E poi, perché mai dovrei cambiare mestiere? Continuerò a scrivere le mie storie. Non so se di genere, non-genere o misto-genere… spero in ogni caso il più a lungo possibile. Mi è sempre piaciuto scrivere. La scrittura è un dono. Un dono che ti cambia la vita e la rende in qualche modo diversa. Originale. Tua. 

L'autrice

Nata in Sicilia ma romana d'adozione, Chiara Palazzolo ha esordito nel 2000 con il romanzo La casa della festa (Marsilio), pubblicando quindi per Piemme I bambini sono tornati (2003). Con la Trilogia di Mirta-Luna, affascinante eroina dark di Non mi uccidere (2005), Strappami il cuore (2006) e Ti porterò nel sangue (2007), ha ottenuto un grandissimo successo di pubblico e critica. Da Non mi uccidere è in preparazione l'omonimo film.