Don Siegel dirige il film di fantascienza a tinte noir tra i più famosi della storia del cinema: L’invasione degli ultracorpi. La sesta arte attinge ancora una volta alla letteratura servendosi del romanzo omonimo di Jack Finney per il soggetto.

Trama: La città in cui vive il dottor Bennell è stata invasa da baccelli alieni che sfruttano il bisogno di sonno degli esseri umani per prendere possesso dei loro corpi. Gli extraterrestri realizzano lentamente il disegno che potrebbe portarli a impadronirsi della Terra mentre gli uomini si consumano nell’impossibile compito di distinguere chi è contaminato da chi non lo è.

Perché vederlo: Il film inizia con l’incredibile racconto del dottor Bennell che con un tono di voce pacato figura la rassicurante immagine di Santa Mira, cittadina tranquilla e felice in cui tutti conoscono vita e abitudini di tutti, che progressivamente muta in una irreale comunità militare. I suoi abitanti infatti, vittime degli alieni baccelli e trasformati in sbiadite copie di loro stessi prive di sentimenti, si organizzano in un minaccioso esercito guidati da un oscuro comandante. Santa Mira però più che temere l’ormai prevedibile scontro, vive lo sconforto di non riuscire più a riconoscere tutte quelle persone un tempo familiari.

L’ansia e lo smarrimento sono dunque rafforzate dall’abile lavoro della sceneggiatura che scava fino ad arrivare alle nostre paure più remote, tra queste quella di non riuscire a capire più chi siede al nostro fianco.

Il film è stato girato durante gli anni della guerra fredda e così come è successo ad altre opere gli è stato attribuito un chiaro messaggio antisovietico, poi tramutatosi nel tempo in denuncia antifascista. Siegel ha invece più volte dichiarato di non aver introdotto nessun simbolismo politico, sua unica intenzione era evidenziare la necessità che ogni uomo ha di essere libero, senza che sia in alcun modo costretto a omologarsi ai costumi e al pensiero dominante.

A dispetto delle parole del regista, rimane però evidente il parallelismo tra il timore di qualcosa di estraneo che costringe Bennell a diffidare degli abitanti di Santa Mira e la cappa di sospetto con cui il maccartismo soffocò gli USA in quegli anni.

Sono anche gli anni in cui la fantascienza prepara lo spettatore a robot stupefacenti e ad alieni tentacolosi, mentre L’invasione degli ultracorpi sceglie di non fare quasi uso di effetti speciali, eccezion fatta per i baccelloni. Più che una scelta illuminata, si tratta di una costrizione dovuta al budget risibile che costringe quindi il regista a fare affidamento sull’intravisto e sul fumoso.

Nonostante ciò la pellicola conserva tutti gli stilemi della fantascienza d’invasione: il doppio, la mancanza di sentimenti degli alieni, il contagio, l’isolamento, la lotta. Il film deve dunque basarsi sostanzialmente solo sulle trovate registiche di Don Siegel che sapientemente si concentra sulla gestione della tensione.

Attraverso il dipanarsi dell’assurdo, l’uso delle scene in notturna, l’esplorazione di spazi sempre più ristretti e claustrofobici, l’ansia cresce durante tutta la prima parte per poi sfociare in uno scenario apocalittico all’interno del quale l’umanità mostra la propria forza alla diabolica forma di vita vegetale, non troppo dissimile dalle creature presentate in La cosa da un altro mondo e in Il giorno dei Trifidi.

L’invasione degli ultracorpi è uno straordinario punto di riferimento per il cinema di genere che ha giustamente goduto dell’omaggio da parte di Philip Kaufman, Abel Ferrara e J.L. Godard a dimostrazione che per fare fantascienza la sola computer grafica non è sufficiente.

Curiosità: Siegel aveva pensato a un ben diverso epilogo. I replicanti avrebbero dovuto prendere il posto degli abitanti di Santa Mira e minacciare infine gli spettatori con un poco rassicurante “You’re next.” la produzione decise invece per una più rincuorante conclusione.