Un paio d’orbite vuote vi fissano. Sotto le cavità c’è un ghigno poco rassicurante. Voi fate finta di niente, ma il disagio resta. L’oggetto riluce come un gioiello. Ogni scanalatura offre un nuovo riflesso. Osservate a lungo e nel frattempo le orbite vi scrutano a loro volta. L’impressione finale è di aver ingaggiato una muta conversazione con una strana creatura che in qualche modo vi è familiare. In fondo, il teschio umano che state studiando con tanta attenzione non è altro che l’immagine di voi stessi. Che cosa c’è disegnato sulla bandiera dei pirati? Che cosa appare sul cartello pericolo: alta tensione? Che cosa campeggia sull’etichetta di una boccetta di veleno? Esatto, proprio quello. Il teschio è il simbolo della morte per eccellenza, ci parla di verità, di quello che c’è sotto la pelle e i muscoli. Ci spaventa e ci affascina allo stesso tempo. Se poi ci aggiungete il cristallo che sembra possedere misteriose proprietà avrete una combinazione esoterica molto potente. Il teschio di cristallo di Mitchell-Hedges, il più famoso tra quelli esistenti, è dunque un concentrato di energie, segreti e poteri che ancora non siamo in grado di classificare.

Alto tredici centimetri e largo altrettanto, profondo diciotto e pesante cinque chili. Ricavato da un unico pezzo di cristallo di rocca e perfettamente levigato. La mandibola è mobile e proviene dallo stesso blocco di quarzo (chiamato anche cristallo di rocca). A parte qualche leggera irregolarità sulle tempie e sulle ossa degli zigomi, è la replica esatta di un cranio umano. In base alla grandezza e ad altri dettagli si è arrivati a stabilire che potrebbe essere quello di una donna. L’autore? Sconosciuto. Altrettanto oscuro è il metodo usato per la sua realizzazione.

La sua storia ufficiale parte dal giorno in cui fu trovato dalla diciassettenne Anna, figlia adottiva dell’avventuriero Frederick Albert Mitchell-Hedges. Era il 1927 e Anna partecipava con entusiasmo agli scavi archeologici condotti dal padre a Lubaantum, un antico insediamento maya il cui nome tradotto significa ‘la città delle pietre cadute’, nell’Honduras britannico (l’attuale Belize). La città occupava un’area di quindici chilometri quadrati e ospitava piramidi, case, camere sotterranee e un gigantesco anfiteatro. Anna trovò il teschio mentre girovagava tra le rovine. Uno strano scintillio attirò la sua attenzione e la spinse a sollevare qualche pietra di un antico altare per liberare quello che aveva tutta l’aria di un oggetto fuori dal tempo. La mandibola fu trovata tre mesi dopo a circa otto metri di distanza. Frederick Mitchell-Hedges morì il 12 giugno 1949 e lasciò il teschio in eredità alla figlia Anna.

Ci sono molti dubbi sul fatto che sia stato veramente trovato da lei. Sono in molti a pensare che suo padre l’avesse ne avesse ordinato la realizzazione per poi programmarne il ritrovamento da parte della ragazzina, proprio il giorno del suo compleanno. Un regalo particolare di un papà appassionato di archeologia che trovò il modo di prendere due piccioni con una fava: fare una sorpresa alla figliola e attirare l’attenzione del mondo scientifico, ottenendo quindi sovvenzioni per i suoi viaggi. Un’altra versione della storia vedrebbe Frederick comprare il teschio a un’asta londinese di Sotheby nel 1943. In effetti, il teschio non figura tra le foto della spedizione nel Belize e non ci sono prove che fosse già nelle sue mani prima del 1943. Comunque siano andate le cose, ora il teschio appartiene ad Anna che ancora oggi (ormai ottuagenaria) giura di averlo trovato tra le antiche rovine di una città maya. Ha raccontato più volte di aver visto il teschio assumere le colorazioni più svariate anche se tenuto al buio, in assenza di fonti luminose che potrebbero produrre scherzi cromatici. Altro fenomeno particolare è l’odore di muschio molto forte che si sprigiona dal cranio di tanto in tanto.

Nel 1970 Anna ha permesso ai laboratori Hewlett-Packard di studiarlo e i risultati sono stati sconcertanti. Prima di tutto il teschio è stato intagliato in senso contrario agli assi cristallografici della pietra. Cesellando senza tener conto della sua struttura interna, il blocco avrebbe dovuto rompersi, cosa che non è avvenuta. Se i moderni ingegneri e scultori seguissero lo stesso metodo di lavoro, non sarebbero in grado di duplicarlo, nemmeno con il laser o altri strumenti d’avanguardia per l’incisione. Andrebbe in mille pezzi. Eppure qualcuno è riuscito, contro ogni legge fisica, a creare una meraviglia del genere. Non è stato ritrovato alcun segno che potesse indicare il tipo di oggetto impiegato per l’intaglio. Ma se non è stato usato un arnese comune, allora di quali mirabolanti attrezzi stiamo parlando? Bisogna forse pensare ad apparecchiature portate sulla terra da civiltà aliene? Per ora l’ipotesi più accreditata è che sia stato sbozzato con pezzi di diamante (il cristallo di rocca è leggermente più tenero di quest’ultimo) e quindi pazientemente lisciato con un composto di acqua e sabbia. Il problema è che per arrivare alla forma attuale, con una simile lavorazione, ci sarebbero voluti trecento anni di costante lavoro da parte di scultori dotati di grande talento. E’ dunque un oggetto che non dovrebbe esistere.

Il teschio di Londra
Il teschio di Londra

Il Mitchell-Hedges è in buona compagnia, poiché ci sono altri teschi in possesso di musei e privati. Le zone del centro e sud America sono ‘ricche’ di simili manufatti. Purtroppo c’è sempre chi confonde le acque e di conseguenza ai teschi genuini si sono aggiunti i falsi, complicando il lavoro degli esperti. La lista è nutrita e comprende, tra gli altri, il teschio di Londra (ospitato al British Museum) e quello di Parigi (Trocadero Museum). Furono acquistati da mercenari messicani nel 1890 e pur essendo ugualmente affascinanti, non sono ricchi di dettagli come il Mitchell-Hedges. Quello di Londra è conservato in una teca e suscita un interesse morboso nei visitatori. Gli addetti alle pulizie hanno chiesto e ottenuto il permesso di coprirlo con un panno durante il loro turno di lavoro, perché il suo sguardo li faceva sentire a disagio.

Il teschio di Parigi
Il teschio di Parigi
Il teschio parigino ha una fattura rudimentale ed è più piccolo. Di seguito troviamo il teschio Maya (trovato in Guatemala) e il teschio di Ametista (Messico), entrambi scoperti nei primi del novecento. Anche questa coppia fu studiata dagli esperti della Hewlett-Packard che rilevarono la stessa tecnica sbagliata di intaglio. Poi c’è il teschio del Texas, chiamato affettuosamente Max dalla famiglia che lo possiede. In origine apparteneva a Norbu Chen, un guaritore tibetano che regalò il teschio a Carl e Ann Parks. I due non si resero conto di che cosa avevano ricevuto in dono finché, anni dopo, videro una trasmissione televisiva che parlava del teschio di Mitchell-Hedges. Altro esemplare è E.T., così denominato per via del cranio a punta e della mascella esagerata che lo fanno sembrare il teschio di un alieno. Joke Van Dieteten Maasland lo acquistò da un mercante di Los Angeles. Sembra che fosse stato ceduto da una famiglia del Guatemala. Durante alcuni scavi in Messico, vennero alla luce altri due teschi: quello che è stato battezzato Sha-Na-Ra (in ricordo di uno sciamano) e il teschio Arcobaleno, chiamato così per gli splendidi colori che si vedono al suo interno quando viene esposto alla luce del sole. L’unico in grado di competere con il Mitchell-Hedges in termini di bellezza è il teschio Rosa Quarzo, ritrovato vicino al confine tra l’Honduras e il Guatemala. Non è trasparente come il primo, ma ha la mandibola mobile che testimonia il notevole impegno occorso per fabbricarlo. E’ infine d’obbligo ricordare il teschio che appartiene alla Smithsonian Institution di Washington che pesa ben venti chili.

Il teschio Rosa Quarzo
Il teschio Rosa Quarzo

Alcuni anni fa i membri della Fondazione Pelton per le ricerche sul paranormale, l’Istituto delle Scienze Psichiche e la Società dei Teschi di Cristallo decisero di girare un documentario su questi straordinari manufatti e i loro presunti poteri. Esperti di psicometria (la capacità di apprendere la storia di un oggetto attraverso il contatto), sensitivi e chiaroveggenti si riunirono per effettuare una serie di test. Per la prima volta alcuni teschi autentici si ritrovarono nello stesso luogo: E.T., Sha-Na-Ra, Arcobaleno, Max e il Rosa Quarzo. Alle prove dei sensitivi si affiancarono quelle degli scienziati: raggi-x per scoprire fratture interne del cranio e capire così se era composto da più parti incollate assieme, e indagini scrupolose con l’utilizzo della luce laser. Durante gli esperimenti di psicometria i sensitivi ebbero visioni riguardanti civiltà molto antiche che alcuni ricollegarono con il mito di Atlantide. Quello su cui si trovarono tutti d’accordo fu la certezza che i teschi fossero legati l’uno all’altro da forze particolari. Se riuniti nella stessa stanza e sullo stesso tavolo, questi oggetti emanavano un’energia capace di sfinire il sensitivo di turno. Alcuni dissero di aver visto una sorta di aura circondare il teschio su cui si stavano concentrando o la sua fronte diventare bianco latte. Altri riferirono di odori e rumori insoliti, provenienti forse da altre epoche o altri mondi. Uno dei chiaroveggenti ebbe delle visioni di spettri, ma non riuscì a fornire una descrizione chiara degli esseri che gli erano apparsi.

Nel 1996 la BBC decise di girare un altro documentario, stavolta escludendo indagini di natura paranormale. Risposero all’appello il Sha-Na-Ra, Max, il teschio di Londra e quello ospitato dalla Smithsonian Institution. Anna Mitchell-Hedges declinò l’invito spiegando che il suo era già stato analizzato a sufficienza in passato. Purtroppo, ancora oggi, non è possibile stabilire quanto realmente siano antichi questi reperti, perché il test al Carbonio 14 è utile solo in caso di sostanze organiche. Il metodo usato in quella circostanza per individuare i falsi fu quello di ricavare un’impronta del teschio con il silicone per poi studiarla al microscopio elettronico. Il silicone mette in risalto ogni piccola traccia lasciata dallo strumento con cui l’oggetto è stato scolpito. In base all’aspetto di tali microtracce di lavorazione è facile farsi un’idea dell’epoca a cui risale: la lucidatura manuale lascia molti solchi irregolari, mentre quella effettuata con una macchina ne lascia di meno e più regolari. Si scoprì allora che i teschi presenti nei due musei non erano antichi quanto si credeva, mentre il Sha-Na-Ra e Max erano stati prodotti circa cinquemila anni prima.

Che siano stati creati cento o mille anni fa, resta il fatto che hanno un notevole impatto sulla vita delle persone che li posseggono, sia positivo che negativo. Ci sono stati casi di guarigione spontanea da molte malattie, risoluzione di profondi blocchi psicologici e un generale miglioramento delle condizioni di vita dei proprietari. Ma ci sono anche persone che raccontano di essere state invase da un terrore inspiegabile alla vista dei teschi, di averli sentiti gridare e di aver visto al loro interno delle immagini orribili. L’effetto che hanno varia di volta in volta, come se fossero in grado di leggere nell’animo di chi li osserva e di comunicare in modo diverso con ciascun individuo. La stessa Anna Mitchell-Hedges confessa di provare sentimenti contrastanti per il suo reperto e di considerarlo come un demone buono.

I teschi sono spesso associati con i Maya, ma sarebbe più esatto associarli con gli Aztechi. Il teschio appare come simbolo in molte creazioni artistiche e religiose di questi ultimi che, tra l’altro, erano molto abili nella lavorazione del cristallo. Non è un caso che sia stato scelto proprio il cristallo per costruire questi oggetti. Il biossido di silicio, o silice, è la composizione chimica del quarzo, elemento presente in tutti i campi della vita umana da sempre. Nella preistoria la selce serviva per accendere il fuoco e per fabbricare armi e utensili. Nell’antico Egitto un pezzo di cristallo era posto sulla fronte dei defunti per rappresentare il terzo occhio. Dal quarzo deriva la sabbia, usata per costruire. Da esso derivano anche il vetro e la porcellana. E’ impiegato per costruire apparecchi ottici. Opportunamente lavorato, è resistente al calore, elastico, trasparente. Grazie alla sua sensibilità verso i campi elettrici è impiegato per fabbricare orologi (quelli al quarzo sono ritenuti i più affidabili), computer, trasmettitori radio e televisivi (le lamine di silicio sono presenti in tutti i circuiti integrati). Pensiamo poi ai suoi impieghi nel campo della magia: sfere di cristallo per vedere il futuro, ciondoli al collo per ottenere serenità, piccole piramidi come soprammobili contro le influenze negative. E’ un materiale che travalica i confini tra il mondo concreto e quello astratto, tra la scienza e il soprannaturale. Un potere enorme. Un teschio fabbricato con il quarzo è, in pratica, un universo in miniatura.

Da dove vengono questi oggetti dal fascino ipnotico? Dallo spazio? Da antiche civiltà di cui non si conosce ancora nulla? Da Atlantide? Non ci è dato saperlo. Si dice che contengano informazioni preziose sul futuro dell’umanità che noi non siamo ancora in grado di leggere. Una leggenda maya racconta che quando verranno riuniti tredici teschi a grandezza naturale, l’uomo avrà accesso a nuove conoscenze, ma questo accadrà solo quando egli sarà abbastanza evoluto da farne buon uso. Evoluto in senso spirituale e morale, soprattutto. Visto il grado di sviluppo in tal senso dell’uomo moderno, viene spontaneo sorridere amaramente. Forse è per questo che i teschi ghignano così. Ci guardano e sanno, ahimè, che dovranno aspettare ancora a lungo prima di condividere il loro segreto con noi.