I Darkthrone tornano col quindicesimo studio album della loro carriera, l'ottavo targato Peaceville records. In attività fin dal 1986, i Darkthrone fanno parte integrante della storia del black metal, tanto che Nocturno Culto (voce, basso e chitarra) ne ha pubblicato recentemente la storia filmata in un documentario dal titolo The misanthrope. Sono una di quelle poche band che, nate agli albori del genere, sono riuscite a sopravvivere attive fino a oggi. A differenza di molti loro colleghi, che hanno cercato di apportare nuova linfa al loro stile virando verso sonorità avanguardiste, i nostri si sono spostati su un thrash metal imbastardito da componenti crust punk e una spolverata folk, il tutto avvolto dall'aura malefica tipica del black. Come ciliegina sulla torta, gli arroganti norvegesi aggiungono al tutto un po' di stile Manowar, autoproclamandosi ultimo baluardo del metal e contrapponendo il loro raw sound a quello di plastica delle band moderne. Da questa maleodorante mistura nasce Circle the wagons, prosecuzione di un discorso cominciato ormai qualche LP fa, in coincidenza del loro ritorno in casa Peaceville dopo la lunga parentesi Moonfog records.

L'album consta di otto pezzi, per la durata totale di quaranta minuti. Scorre in maniera piacevole e costante, senza particolari alti o bassi, senza grandi sorprese o innovazioni. La musica non spicca per qualità e non propone nulla di nuovo, ma è composta con l'esperienza giusta per non annoiare e riuscire a rendersi a tratti divertente. Spesso le band di genere tendono a perdersi in riff ripetitivi e prolissi, riuscendo a rendere fastidiose anche composizioni dal buon potenziale. I Darkthrone si limitano a proporci la loro musica grezza e diretta, senza fronzoli o abbellimenti di sorta. Al tutto contribuiscono una buona registrazione e dei testi demenziali, cantati in un dubbio ma efficace stile punk.

Facciamo alcune brevi considerazioni sui brani. Those treasure will never befall you, con la sua chitarra punk di vecchia scuola e il coro del ritornello in pieno stile heavy metal, apre il disco. La successiva Running for borders ci immerge in un piacevole clima black'n'roll che difficilmente potrà non travolgere. Peccato solo che in qualche passaggio a volte il pezzo rallenti troppo, interrompendo un po' il ritmo. I nostri fanno meglio con I am the ghost of the 80's, in cui, oltre al black'n'roll, ritroviamo quella vena epic metal che sarà di certo gradita ai concerti. I sette minuti di Stylized corpse appesantisco un po' l'ascolto, scimmiottando vagamente il viking degli Enslaved senza però la classe che questi ultimi sanno metterci. Per contro, la title-track dimostra coi suoi due minuti e mezzo che i Darkthrone sulla breve distanza sanno fare il loro lavoro. La traccia è semplice, diretta e non perde tempo su temi dalle altezzose pretese d'atmosfera. Black mountain totem si sviluppa su riff di chitarra abbastanza interessanti, ricordando anche in questo caso gli Enslaved, ma con risultati decisamente superiori rispetto al tentativo sopracitato, sfociando anzi nel pezzo più riuscito dell'intera scaletta. I am the working class sa un po' di riempitivo e non merita di essere ricordata. Contiene la quintessenza punk che i nostri cercano di far trasparire attraverso questo lavoro, ma nella sua monotonia riesce solo ad annoiare. Eyes burst at dawn, unendo stilisticamente le due tracce precedenti, dà altro divertimento, ma non propone nulla che non si sia già sentito nella mezz'ora passata. L'epilogo Brant inte slotte attacca con sola voce ed evolve poi in un pezzo strumentale, che di per se ha un valore dubbio, ma, ai fini del congedo, riesce a svolgere dignitosamente il suo lavoro.

Indipendentemente da cosa dicano gli autori, Circle the wagons non è un album che sembra avere particolari motivi per essere ricordato. Agli amanti degli ultimi Darkthrone potrà piacere, e anche chi cerca un buon compromesso tra i Saxon e i Carpathian forest potrebbe gradirlo. Tutti gli altri possono vivere benissimo anche senza di loro.