Cinque ragazzi affittano uno chalet per trascorrere una vacanza dopo il college. Il clima spensierato, purtroppo, è destinato a durare molto poco: un viandante, col volto deturpato da una strana malattia, chiede loro soccorso… in modo, forse, troppo energico e insistente. I ragazzi, terrorizzati, lo eliminano. Già dal giorno dopo, però, i primi segni di contagio cominciano a comparire tra i cinque. Terrore, paranoia, istinto di sopravvivenza fanno il resto: il gruppo “esplode” e ognuno, per conto proprio, si trova a vivere la tremenda esperienza della malattia.

Al contagio pare sfuggire solo uno dei cinque. Ma sarà vana illusione di salvezza, la sua.

Cabin Fever è davvero un bel film. Non è il solito slasherino leggero leggero, come i primi venti minuti di pellicola lascerebbero intendere. Nessun maniaco, nessuna entità più o meno paranormale, più o meno assimilabile ai tanti Jason, Freddy, Michael… etc. Solo cinque ragazzi, uno chalet isolato e un nemico tremendamente reale e allo stesso tempo tremendamente invisibile.

E’ un film sanguinolento, parecchio truce, un film che in America non si vedeva da tempo. Concepito bene e girato anche meglio, contagia proprio come il virus protagonista della storia: per la prima mezz’ora l’orrore è in fase di incubazione, latente, serpeggia ma non compare mai. Dopo i primi sintomi, invece, esplode con una furia visiva dirompente. L’essenza stessa del gruppo, prima vera vittima del virus, va disgregandosi e corrompendosi proprio come, dopo brevissimo tempo, accadrà ai corpi di ognuno dei ragazzi. Ulcerazioni, ferite superficiali, emorragie, distacco della pelle, voragini che si aprono nei corpi… sono questi i vari stadi attraverso cui ciascuno dei ragazzi dovrà passare.

Lo studio psicologico degli effetti della claustrofobia e del terrore dei contagi e delle malattie in genere, pur se appena accennato, è messo in scena con un assoluto realismo. Gli effetti speciali sono tremendamente verosimili, la corrosione/corruzione dei corpi contagiati è quasi reale. Più in generale, tutto il lavoro svolto si presenta accattivante, spesso disgustoso ma mai sciatto.

Eli Roth, regista del film (presente in una brevissima apparizione) e collaboratore in alcuni degli ultimi lavori di David Lynch (per inciso co-produttore dell’opera), si dimostra un giovane talentuoso, con molta inventiva e tanto, tantissimo sano gusto di osare. Oltre a mettere su un bel film, ci regala splendidi momenti con citazioni di grandi classsici dell’horror (valga per tutti la sensazione di trovarsi perennemente di fronte a uno strano remake de La Casa di Raimi). Lynch stesso infarcisce alcuni momenti della pellicola di suoi vezzi personalissimi, girati con stile onirico degno di Twin Peaks, e mette in scena, come antagonisti dei ragazzi, una serie di personaggi che pare uscita direttamente da Eraserhead e Velluto Blu (il vice sceriffo delle “Baldorie”, il ragazzino con la rabbia, il negoziante anziano). Il finale a sorpresa, anch’esso attribuibile a una idea di Lynch, varrebbe anche da solo tutto il film.

Una delle migliori uscite dell’ultimo periodo, decisamente.

Extra

Un breve backstage sottotitolato ed una serie di trailer cinematografici. E’ stranamente presente anche un trailer e un backstage relativo alla realizzazione di Forbidden Siren, survival horror per PSX2. Il dietro le quinte del film mostra le session di trucco e corre a scoprire le tecniche di realizzazione di alcuni effetti speciali. Peccato non ci sia molto di più.