Cercai nel retro della macchina. Non vedevo niente. Non trovai niente.

Provai ad allontanarmi di qualche metro. Il telefono doveva essere schizzato via chissà dove. Il riverbero della luce del fanale divenne presto troppo debole.

Era tutto troppo buio. Non vedevo la strada. Le luci dell’Interporto, distante pochi chilometri in linea d’aria, avrebbero dovuto essere visibili.

Non c’erano fari di altre macchine.

Nemmeno si vedeva la statale.

Nulla.

In cielo nemmeno una stella.

Totale oscurità. A parte un debole bagliore all’orizzonte in tutte le direzioni. Era un nero poco più che sbiadito che mi girava attorno ovunque guardassi. La volta celeste era stata tappata da un gigantesco coperchio di vetro scuro con i bordi fumé.

Trovare la statale era l’unica soluzione.

M’incamminai nel buio tenendomi alla spalle il posteriore della Panda. Non ho mai voluto comprare una torcia da tenere in macchina, o meglio, non sono tipo da comprare una torcia per la vaga possibilità di finire cappottato in un campo di barbabietole. Non ce n’è motivo.

Guardai l’orologio. La mezzanotte era passata da cinque minuti. Camminai per dieci. Le barbabietole frusciavano intorno ai piedi. Impossibile che la statale fosse così lontana. Tornai indietro, lasciandomi pilotare dalla debole luce del faro della mia auto che ancora si percepiva in lontananza. Raggiunsi il rottame e proseguii oltre. Era possibile che il posteriore dell’auto non indicasse la statale, dato che dovevo aver rotolato per metri prima di fermarmi.

Camminai per minuti. Troppi.

Non c’era strada. Non c’era niente. Solo l’orizzonte sembrava essersi schiarito. Era tremolante. Come se il cielo fosse una palpebra stanca che faticava nel tirarsi su e mostrare la luce del giorno.

Sono un operaio. Lavoro in un magazzino. Sposto merci e faccio tutti quei lavori per cui una cravatta al collo rischierebbe solo di impigliarsi tra le forche del muletto consegnandomi a una morte per soffocamento. Questo non mi impedisce di distinguere la realtà da una situazione bizzarra. E quella in cui mi trovavo, dove le stelle spariscono, il cielo diventa una cestino da ufficio rovesciato e una statale lunga centoquaranta chilometri fatica a vedersi ovunque si guardi, lo era.

Lo divenne ancor di più quando all’orizzonte la palpebra si sollevò un altro po’, circondando il buio del cielo con un intenso anello di luce bianca che scivolava sul terreno allungandosi in ombre nerissime.

Coprii gli occhi con una mano. La luce era molto forte.

Quando la ritrassi trovai davanti a me un vecchio, accovacciato e con i pantaloni calati.

Il volto sembrava intrecciarsi in una ragnatela di rughe.

La luce alle sue spalle non mi permetteva di distinguere altro.

Era senza un braccio, o meglio, il braccio si fermava al gomito. Il moncherino era impacchettato con stoffe o brandelli di tessuti da cui colava un liquido nero.

Decisi che il liquido era sangue. E decisi che tutto ciò che mi stava accadendo poteva avere una sola spiegazione. La chiesi al vecchio mentre si puliva con una foglia di barbabietola e si tirava su i calzoni con l’unica mano rimastagli.

– Ok, sono morto, no?

Il vecchio chiuse la zip.

– Se non fossi morto pensi che troveresti un vecchio con mezzo braccio che la fa in un campo di barbabietole sotto un cielo nero come… come… Non mi viene nessuna metafora. – Parlò con un forte accento ferrarese.

– Quindi sono morto.

– Ragazet, sembravi sveglio.

– Mio Dio!

Non ricordo cosa mi passò per la mente. Confesso che ci avevo già fatto su uno o due pensieri mentre camminavo per il campo, ma quel vecchio e le sue parole presero a calci così forti le mie speranze da sentirle urlare.

Mi pare che ripetei un altro “Mio Dio!”, ma non ne sono sicuro.

– Qui non credo che Dio venga spesso – fece il vecchio. – Almeno noi non lo abbiamo mai visto da queste parti.

Passai una mano sulle guancia.

– Noi? – chiesi.

– Pensi che io e te siamo i soli sfigati di questo… di quell’altro mondo?

– Cos’è ‘sto posto?

– E chi lo sa. Noi lo chiamiamo Barbainferno, e se mi chiedi perché giuro che ti prendo a calci. Tu chiamalo come vuoi. Vieni, che ti presento agli altri. Manca poco, ormai.

– A cosa? Che dici?

Il vecchio si scostò permettendomi di vedere a una decina di metri di distanza quattro pareti tirate su con la terra del campo e parti meccaniche. Vidi una portiera, la ruota di una moto e altri pezzi di metallo. Non c’era tetto. Vidi anche il lunotto posteriore di un auto incastrata a mo’ di finestra. Il vecchio si accorse dove stavo guardando.