Io e Nadia giungemmo alla conclusione che l’infestazione avesse origine al di fuori del nostro appartamento solo con l’arrivo della primavera.

Lo capimmo quando ci accorgemmo che, in un solo giorno, sul lato adesivo della trappola antitarme collocata in dispensa, si era formato un ricco ecosistema di farfalline che, per liberarsi dalla prigionia, si dibattevano così forte da lacerarsi le ali, restando tuttavia appiccicate allo strato di feromoni da cui erano attratte.

Erano camole della farina. Conclusa la metamorfosi da larve in falene, avevano volato dal loro nido alla nostra dispensa dove avevano trovato la morte tra atroci sofferenze.

L’infestazione, dunque, proveniva da fuori, e in poco tempo fummo invasi d’insetti.

Per Nadia era una buona cosa.

Era grata per l’abbondanza di ciò che, dopo l’incidente, è diventata la sua unica fonte di nutrimento. Da quel giorno, mia moglie non è più la persona di prima. Ora si nutre solo di camole e altre specie di insetti. Ecco perché ci sembrava importante scoprire l’origine dell’infestazione: Nadia avrebbe potuto mangiare a volontà – come quando ha sminuzzato coi denti le farfalline incollate alla trappola antitarme – e io avrei protetto dai parassiti primaverili le mie scorte di pasta e carboidrati.

Per cui, avendo appurato che gli insetti non provenivano dal nostro appartamento, abbiamo collocato trappole a feromoni vicino alle porte dei nostri vicini.

La trappola con più insetti, avrebbe indicato la fonte dell’infestazione.

Questo accadeva qualche giorno fa, ma oggi, quando sono tornato a casa dal lavoro e ho letto il biglietto che Nadia mi ha lasciato in cucina, ho capito che deve aver individuato l’appartamento infestato senza di me. 

Sul biglietto Nadia ha scritto in stampatello il cognome dei nostri vicini di casa, i Sistopaoli.

Non ho perso tempo.

Con ancora il soprabito addosso, sono uscito più in fretta che ho potuto.

Adesso, sul pianerottolo al terzo piano, mi accorgo che la porta dei Sistopaoli è aperta, e nonostante percepisca un’opprimente sensazione di pericolo, non riesco a oppormi al desiderio d’entrare.

Mentre fuori il mondo pulsa di luce, nell’appartamento dei nostri vicini è buio pesto, e io mi sento irresistibilmente attratto da un’esalazione secreta da quello che, sforzando la vista nell’oscurità, scopro essere un gigantesco organismo ghiandolare appeso al soffitto. 

Nero come un tumore allo stadio terminale, l’organismo cresciuto in un ammasso bulboso formicolante vita, è scosso da uno spasmo che ne fa ribollire la superficie le cui secrezioni emanano particelle organolettiche che mi seducono irresistibilmente. Sono ormoni femminili, ed è solo grazie al ricordo degli insetti che si dibattevano sullo strato feromonico della trappola nella nostra dispensa che riesco a trattenermi dall’avvicinarmi all’ammasso organico che mi attrae come una calamita. Vi resterei incollato e i miei arti, come fragili ali delle falene, si strapperebbero se, contorcendomi, provassi a liberarmi.

Tento di arretrare e non ci riesco.

Il pavimento è appiccicoso.

Non potendo sollevare i piedi sto per sfilarli dalle scarpe, quando un compatto sciame di tarme mi travolge come una tempesta di sabbia.

Apro la bocca per gridare e il nugolo di tarme mi entra in gola. 

Tento di respirare dal naso prima che i miei sensi si annebbino, quando una figura alta fino al soffitto mi appare davanti debolmente rischiarata dalla luce che filtra dal pianerottolo. È uno scherzo della natura. Un ciondolante insetto antropomorfo dalle zampe disarticolate e dalla testa triangolare interamente occupata da grandi occhi ovali opalescenti.

Ora nella casa l’odore dolciastro è più intenso. Non ho più dubbi a chi appartenga. È la fragranza del corpo di mia moglie, così penetrante da stordirmi. La primavera ha portato a compimento la metamorfosi, e Nadia può disporre di me come preferisce. Con le sue lunghe antenne mi si intrufola sotto i vestiti solleticandomi il corpo, infine estrae dal dorso un paio di enormi ali fruscianti e io, mentre fuori gemme lucenti diffondono energia vitale al mondo, sono avvolto in un nero senza scampo.