A casa, lo scorbutico detective della polizia Aidan Breslin (Dennis Quaid) si estranea sempre di più dai suoi giovani figli, Alex e Sean dopo la morte della moglie. Al lavoro, si trova coinvolto in un’indagine sui perversi omicidi seriali legati alla profezia biblica dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse: il Cavaliere bianco, un maestro dell’inganno e il leader inatteso che è pronto a tutto per raggiungere i suoi scopi; il Cavaliere rosso, un guerriero acuto, che cerca di mettere gli uomini uno contro l’altro e dotato di un’innocenza che nasconde una profonda rabbia interiore; il Cavaliere nero, un tiranno manipolativo e oscuro, senza equilibrio ma sempre un passo avanti rispetto agli altri; e il Cavaliere pallido, un esecutore che ha una forza disarmante, determinato a provocare la morte con precisione chirurgica. Mentre Breslin compie delle nuove scoperte sul caso, si accorge piano piano di un legame scioccante tra se stesso e gli eventi drammatici legati all’indagine.

Le affascinanti locations nei dintorni di Winnipeg, magistralmente fotografate da Eric Broms, fanno ben sperare lo spettatore che si appresta a visionare questo The Horsemen di Jonas Akerlund, alla sua prima prova in un lungometraggio “impegnato”. La messa in scena è infatti piuttosto sontuosa: paesaggi innevati, carrellate su immense pianure invernali, panoramiche della città immersa nel gelo, cast di tutto rispetto (in cui spiccano una bellissima Zhang Ziyi, e un altrettanto bravo e forse sottoutilizzato Dennis Quaid), fotografia dai colori intensi ed espressivi. Lo “sfondo” su cui si narra la storia è molto gradevole, a tratti notevole nella cifra estetica e nella cura del particolare visivo/fotografico. Ma il modo con cui Akerlund manovra il plot fa perdere al film colpi su colpi, fino ad arrivare a un finale deludente sotto vari profili, e che fa scomparire in una bolla di sapone il bel contenitore ambientale che ci aveva fatto così ben sperare. Vero è che dallo sceneggiatore David Callaham non ci aspettavamo molto, dopo il suo lavoro al mediocre Doom (2005), tuttavia qui la produzione e il budget consentivano margini di manovra molto più liberi per poter condurre in porto una storia in modo più che dignitoso. Purtroppo così non accade: il tema biblico dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse è travasato nello script in modo approssimativo, ricorda troppo i “sette peccati capitali” che ispirarono David Fincher e il suo indimenticabile Seven (1995). Ma Akerlund non è Fincher, o comunque non possiede la sua cura (spesso ossessivo/maniacale) del dettaglio. Qui è addirittura sciatto nell’incastrare nessi e concatenazioni di un’indagine che si rivela assai poco convincente nella resa visiva e narrativa. Il regista svedese proviene da pur ottimi videoclip musicali, esperienza che tuttavia non sembra sufficiente a fargli affrontare con mano sicura una materia così complessa come una “detective story” nella quale per di più sono narrate le intricate vicende che motivano degli omicidi seriali. Ben presto abbiamo infatti l’impressione che Akerlund e la sua troupe si perdano nei sentieri di una storia poco credibile, per non dire ridicola, cosicché non ci resta che volgere lo sguardo ai paesaggi canadesi nei quali ci immerge mentre lo seguiamo nei suoi movimenti di macchina. Una vera delusione, insomma, questo film, anche perché pensavamo che il regista si volgesse a trattare temi e generi così impegnativi per il fatto di essere decisamente “cresciuto” sul piano artistico, dopo il pop-lisergico Spun (2002). Oltre a tutto ciò che è stato detto fin qui, occorre segnalare che adrenalina e pathos latitano completamente: le inquadrature in alcuni punti sono addirittura fisse e legnose, ordinate in un montaggio che non aiuta certo a creare particolari effetti di tensione L’esatto contrario di quello che ci aveva fatto credere un trailer iniziale che a questo punto potremmo definire truffaldino. L’unico motivo per cui questo film arriva a meritarsi due stelle, è il tentativo (peraltro scarsamente riuscito) di portare in scena il malessere e la solitudine degli adolescenti di oggi, cioè di promuovere una riflessione su un tema sociale importante, mostrando tuttavia la non volontà del regista di approfondirlo come si dovrebbe.