Buio in sala, lo schermo si illumina e ci si trova all'interno di un ospedale psichiatrico. Un medico è impegnato in un colloquio clinico con la giovane Su-mi: cerca di farsi raccontare dalla ragazza gli eventi recenti che l'hanno vista protagonista. Su-mi è immobile sulla sua sedia, catatonica, il viso inclinato in avanti, lo sguardo vitreo. Improvvisamente, forse colpita dall'ennesima domanda del medico, si rianima e inizia a raccontare, dando inizio al lungo flashback che costituisce il corpo centrale del film.

Two sisters è la storia di Su-mi e di sua sorella minore Su-yeon che, dopo la morte della madre e un periodo di ricovero in ospedale, ritornano alla casa sul lago dove sono cresciute insieme a un padre passivo e a una matrigna ostile, perfida e sadica.

Gradatamente riaffiorano frammenti di passato, ombre di colpe che incombono sulla famiglia, presenze spettrali che strisciano sotto i mobili. Diviene evidente che l'armadio nella stanza da letto di Su-yeon nasconde un macabro segreto. Infine, nell'apparente indifferenza del padre, lo scontro tra le ragazze e la matrigna si fa sempre più aperto fino a degenerare nel sangue.

Ma non tutto è come sembra: il confine tra il ricordo e il parto di una mente traumatizzata che tenta di difendersi, così come quello tra vittima e carnefice non va mai dato per scontato.

Kim Ji-woon prende un racconto folcloristico coreano, lo modernizza ambientandolo ai giorni nostri e accostando agli spettri tradizionali quelli tipicamente odierni della patologia mentale (lasciando peraltro un confine delicatamente sfumato tra i due) e confeziona una ghost-story dai toni tipicamente orientali che riesce a fare il suo dovere: durante le due ore di film la tensione non cala mai grazie al sapiente gioco di sospensione messo in atto: i personaggi sono sempre sul punto di avvicinarsi, di vedere o toccare qualcosa di rivelatorio e/o mostruoso, la messa in scena ci prepara al catartico salto sulla poltrona, ma tutto si interrompe un attimo prima di raggiungere il suo climax.

Anche la casa stessa, unica location del film se si esclude l'ospedale psichiatrico che apre e chiude la storia, gioca un ruolo fondamentale nell'opprimere personaggi e spettatori: i suoi colori saturi, il suo essere buia anche di giorno la rendono uno spazio claustrofobico che si chiude su sé stesso, imprigionando i personaggi e tenendoli abbastanza vicini tra loro da rendere lo scontro inevitabile, ma riuscendo a separarli abbastanza da rendere impossibile riuscire a soccorrere chi invoca aiuto.

Violenza psicologica e fisica impregnano l'intera pellicola (un esempio per tutti: la piccola Su-yeon chiusa in un sacco e massacrata a colpi di attizzatoio), lo spettatore vorrebbe un finale nel quale i malvagi vengono puniti come nelle favole (ed effettivamente Two Sisters ha il retrogusto della favola, con tanto di matrigna cattiva), ma ciò non è possibile perché colpe e colpevoli acquistano contorni troppo evanescenti per mantenere una forma stabile alla luce della ragione.

In definitiva il vero fantasma di questo film non è la putrida presenza che si aggira tra il mobilio della casa sul lago (che effettivamente risulta un po' finto già nel suo presentarsi come se fosse appena uscito dal pozzo di The Ring); ad essere veramente spettrali sono tutti gli altri personaggi che vagano per la casa ognuno con un suo personale conto in sospeso e ognuno con un suo etereo, parziale rapporto con la realtà.