L’alibi della vittima è un thriller corale, costruito sull’impatto emotivo dei numerosi personaggi. L’omicidio qui non avviene nelle prime pagine del libro come in tanti altri romanzi – assumendo così il ruolo di causa trainante di tutta la vicenda – quanto nella seconda metà della storia, divenendo in realtà una conseguenza logica di tutta la prima parte. Dalla quarta di copertina:

“A Rocca Persa, cittadina dell’agro pontino a pochi chilometri da Roma, fa ogni tanto la sua comparsa Memè, individuo di cui non si sa nulla tranne che fa girare cocaina purissima. Il Maresciallo Trevisan è sulle sue tracce da mesi, ma l’identità dell’uomo resta ancora un mistero. Perfino per Greta, giovane femme fatale che frequenta assiduamente Memè per “lavoro” e che fa di tutto per sostituirsi a lui nel traffico clandestino.

Al Servizio per le Tossicodipendenze del paese, intanto, l’ostinata assistente sociale Holy Mary e la diplomatica psicologa Lina lottano per debellare il flagello della dipendenza, mettendo a punto percorsi di riabilitazione per un’utenza che spesso si rivolge a loro per problemi ben più gravi della droga.

La sera del 2 settembre viene ritrovato il cadavere di Memè in un appartamento di via Merulana a Roma. La stessa sera molti abitanti di Rocca Persa si trovano nella capitale, ognuno con un alibi più o meno ferreo ma tutti con un movente altrettanto credibile.

Chi è stato allora a uccidere Memè? Il docile Marco, nipote della proprietaria dell’appartamento nonché tossicodipendente di Rocca Persa? Gaetano, ex detenuto per rapina a mano armata? Oppure l’affascinante Greta?” 

Capitoli brevi e incisivi, dove si muovono numerosi personaggi, ognuno delineato con una particolare caratteristica, ma soprattutto “vestito” di una sua peculiare problematica o “dipendenza”. L’autrice, psicologa, ci mostra lo spaccato di una realtà cruda, a volte disturbante, un mondo dello spaccio, della concussione, che ogni giorno passa davanti agli occhi delle persone tramite i giornali o la televisione, nell’indifferenza generale. È chiaro l’intento della Repetto di denunciare attraverso la “finzione” di un romanzo diversi problemi sociali ancora lungi dall’essere risolti, dove allo stesso tempo però operano persone oneste, completamente dedite al proprio lavoro.

Il rischio di confondere il lettore con così tanti personaggi è alto, ma l’autrice sa gestirli con competenza, calibrando su ognuno di loro un pezzettino di movente e di alibi, costruendo le tessere di quello che a tutti gli effetti è un puzzle ben riuscito.

Dipendenza dalla droga, dipendenza dal sesso, degrado sociale: L’alibi della vittima è un romanzo che ci interroga dentro, dove si nascondono le nostre pulsioni, i nostri desideri più nascosi. Ci fa riflettere sulla fortuna delle persone che non hanno mai dovuto affrontare il calvario delle droghe e/o dell’alcol a livello personale o nella propria famiglia. Ci fa sperare per chi invece ne è rimasto invischiato e si sente sprofondare sempre più nello sconforto e nella disperazione, che una speranza c’è sempre, e che può arrivare in qualsiasi momento, anche da chi meno ci si aspetta.

L’autrice ci fa guardare allo specchio, quindi, sollecitando la nostra coscienza sulla legittimità di alcuni dei nostri istinti più reconditi.   

Viene da sé che l’ambientazione assume un aspetto secondario, quasi sfuocato. Perfettamente reali, quasi marchiati a fuoco, invece, sono i personaggi di questa storia, indispensabili l’uno all’altro, come se fossero tanti piccoli pianeti interconnessi in un pazzesco equilibrio, dove il dolore di uno di loro può far tremare anche gli altri, e allo stesso modo la serenità di un altro può arricchire e armonizzare l’intero universo.