E’ un lunedì, ma, nonostante il giorno lavorativo, il Korjaamo di Helsinki è comunque pieno: 500 persone circa e presumo tutte per gli Agalloch, data la popolarità che il gruppo statunitense ha da queste parti, mentre invece devo essere l'unico o quasi a essere venuto qui principalmente per la band di supporto: gli inglesi Fen. Considero il loro ultimo album in studio (Dustwalker uscito pochi mesi fa per la code666 e da me recensito per Horror Magazine qui) uno dei lavori più interessanti degli ultimi anni in ambito black metal e non solo, e mi ero quindi riproposto di vederli dal vivo. 

Faccio appena in tempo ad arrivare davanti all’ingresso: prima ancora che possa contattare io i Fen, come da accordi redazionali, mi arriva un sms che rimanda l'intervista a dopo lo show e che parlerò con The Watcher, il cantante/chitarrista della band. 

Appena entrato, il terzetto britannico sale sul palco. C’è ancora pochissimo pubblico e forse è meglio così visto che quando partono le prime lente note di Hands Of Dust (dal loro ultimo lavoro), l’amplificazione della chitarra sembra dare qualche piccolo problema, poi risolto a circa metà canzone. La band dà il meglio di sé sui pezzi puliti (l’apertura di Hands of Dust, i break arpeggiati di Ghosts of the flood e Exile's Journe e As buried spirits stir) mentre sulle parti veloci i suoni degli strumenti finiscono per amalgamarsi un po’ troppo tra loro, ma è bene sottolineare che i Fen, nonostante le numerose influenze post-rock e new-wave inglese anni ‘80, hanno un’anima black e in questo genere i suoni puliti non sono mai stati la priorità. Il preciso e solido lavoro del batterista Derywodd mi è sembrato il punto di riferimento principale della band, ma è il suono del basso di matrice post-rock a rendere più pulsanti e potenti i pezzi (in particolare Ghosts of Flood che ha il miglior lavoro di basso e ritmica). A dare anima ai suoni è invece il cantante/chitarrista The Watcher: sulle parti veloci voce e chitarra creano un solido muro aggressivo (e come potrebbe essere diversamente?) volto alla disperazione e alla rabbia.

E’ il brano di apertura a racchiudere meglio le qualità di questa band: nel lungo intro Derywodd usa le bacchette da timpani (mi ha ricordato il Nick Mason del ‘72, nel live a Pompei), la chitarra che entra in un lento arpeggio e le note del basso usate a mo’ di tappeto sonoro, e infatti The Watcher mi confermerà nell’intervista che il prog-rock anni ‘70 ma soprattutto la “early 80’s guitar wave” (cosí come l’ha definita lui) hanno avuto una grossa influenza nella loro musica (mi nomina ripetutamente, tra gli altri i Chamaleon, e ho la conferma di come anche i primi Smiths abbiano influenzato il loro suono).

Purtroppo nella scaletta manca Spectre, un pezzo acustico dagli echi pinkfloydiani e con voci solo pulite. The Watcher mi dice che questa canzone è speciale per lui. Ma, sempre parole sue, dal vivo la band vuole soprendere il pubblico con i pezzi più veloci e aggressivi. Effettivamente,  le canzoni più apprezzate sembrano essere quelle con maggiore energia: As buried spirits stir, Ghosts of flood anche più rocciosa e potente della versione in studio e la nuova Consequence, anche la più applaudita dal Korjaamo, che nel frattempo si è riempito.

La band chiude con l’evocativa The Gales scream of loss, saluta e scende dal palco.

Mi avvio cosí al merchandising dove scorgo, tra gli altri gadget, la ristampa in vinile del loro primo lavoro The Malediction Fields (2008), appena rilasciata dalla label tedesca Eisenwald in 500 copie: 300 in picture disc di color rame e 200 in vinile nero.

Dopo pochi minuti arrivano il bassista Grungyn e Derywodd  che si mettono in postazione di venditori. Chiedo loro informazioni sul vinile e ne approfitto per chiedergli se è contento della prima release. “It was about time” (era ora) mi risponde soddisfatto e mi dice anche che è stata questa label a farsi avanti per pubblicare il loro lavoro.

Chiedo se anche gli altri due lavori avranno presto una release in vinile: sperano molto che accradrá, ma non sanno quando. Nel frattempo, arriva The Watcher. Usciamo dal locale, dove ci accoglie la fresca e soleggiata sera di Helsinki (quassù a inizio maggio le giornate sono già molto lunghe). La chiacchierata che segue mi rivela una persona molto motivata ed entusiasta del suo lavoro (e infatti usa il termine “workaholic”), contentissimo del tour che li sta portando in giro per l’Europa e del feedback del pubblico, dell’amicizia con i membri degli Agalloch, con i quali avevano già suonato come band di supporto nel 2008 per The Maledicion Fields, di come i recenti cambi di line-up (la dipartita del tastierista Draugluine e del batterista Theutuin) abbiano tutt’altro che destabilizzato il gruppo, che anzi sta già componendo nuovo materiale - anche se The Watcher non si sbilancia sul come e quando vedrà la luce - infine di come Derrywodd sia un grande acquisto.

Sorride molto, tranne quando gli scatterò un paio di foto: si mette in posa e il sorriso sparisce per mostrarmi il volto più depresso, molto più in sintonia con il mood delle canzoni del gruppo, per poi tornare di nuovo allegro e pimpante non appena metto via la macchina fotografica e rientriamo insieme nel locale dove gli Agalloch sono già sul palco da qualche minuto con l’opener Limbs.

Saluto The Watcher, mi avvicino al palco e subito mi accorgo che a differenza dei loro lavori in studio (non mi hanno completamente colpito), il suono è molto più caldo, coinvolgente e solido. Gli Agalloch suonano insieme da oltre 10 anni, e si sente: l’atmosfera e i suoni sono adatti a un vero e proprio viaggio emozionale e mi è stato subito chiaro che per capire e apprezzare completamente l’anima e la potenza delle emozioni nelle loro canzoni, la band va assolutamente vista on stage.

Scopro con piacere che anche lunghezza dei pezzi, per me sui dischi noiosa al punto da farmi sbadigliare, è qui un valore aggiunto. I suoni sono chiari e intensi, il muro sonoro di grande profondità. Non ci si stanca perché in ogni momento l’adrenalina è presente, le emozioni intense. Adesso il pubblico è tutto lí davanti per loro e si fa un po’ di fatica ad arrivare alle prime file. Il fumo che si spande sul palco dall’inizio dello show fino alla terza canzone (Falling Snow) non è solo ghiaccio secco ma anche incenso. Scoprirò dopo che il gruppo ha usato un incenso chiamato agalloca, un’essenza orientale simile al sandalo ma più intensa, e che è solito aprire i loro live in questo modo.

Le immagini proiettate alle spalle del gruppo per tutta la durata dello show mostrano sempre foto in bianco e nero di paesaggi desolati e innevati, molto adatte al tappeto sonoro della band e anche alla posizione geografica in cui siamo. Peccato che oggi sia stato il primo vero giorno di tepore dopo mesi d’inverno da queste parti e confesso che, seppur il lungo inverno nordico non mi dia fastidio, mi veniva spontaneo distogliere lo sguardo dalle immagini per concentrarmi invece sul calore dei musicisti, soprattutto quello del chitarrista Don Anderson, il più emotivo sul palco.

I momenti migliori sono la nuova Faustian Echoes con i suoi oltre 20 minuti, You were a ghost in my arm e, nell’encore, Hallways of Enchanted memory alla quale seguono le prime tre parti di Our fortress is burning. Alla fine il chitarrista/cantante John Haughum si congeda con un “Hyvää Yötä” (buona notte) seguito da una risatina sommessa e bonaria del pubblico, me incluso. Provare a pronunciare questa frase non conoscendo il finnico può avere effetti comici, ma per fortuna i finlandesi non scherniscono chi prova a parlare la loro lingua, anzi apprezzano sempre quando gli stranieri provano a parlare in finlandese.

La serata è finita, sono le 11 passate, e gli Agalloch hanno suonato più di due ore dimostrando di essere padroni del palco e di saper coinvolgere e convincere il pubblico. Esco e guardo le ultime luci del crepuscolo, consapevole di aver visto due band molto valide: una già consacrata e blasonata, l’altra con tanta voglia di far sentire il suo potenziale, e secondo me da The Watcher & co. ne vedremo e sentiremo delle belle.