Un gruppo di ragazze decide di passare una vacanza in un posto tranquillo, lontano dallo stress, dalla routine. Non sanno però che fungeranno da cavie per un esperimento psicologico, oggetto di una tesi di laurea. Si tratta in sostanza di questo: costruire ad arte situazioni di tensione, capaci di creare timore, in modo da poter definire con precisione i contorni della paura.

Il titolo del film che racconta questa storia calza quindi a pennello: Definition of Fear, ovvero la definizione della paura. Il regista James Simpson (Perfect Creature) segue uno schema piuttosto noto nell’ambito horror: la quiete si trasforma in isolamento, il divertimento in terrore.

Il progetto però contiene anche diversi elementi di originalità: tra i più interessanti l’impiego di tecniche di programmazione neuro linguistica nella stesura dei dialoghi. Le parole, così come il tono di voce e il ritmo, sono calibrati cioè secondo una precisa tecnica scientifica utilizzata comunemente in psicologia.

In questo modo è possibile ottenere in generale una comunicazione più efficace: in questo caso, forse, un maggiore e più profondo coinvolgimento emotivo degli spettatori che in un certo senso partecipano, così come le protagoniste della pellicola, a un esperimento riguardo la definizione delle caratteristiche della paura. E del modo di suscitarla.