Un'antica dimora vittoriana nel Rhode Island custodisce presenze che non devono essere risvegliate. Ma l'arrivo della piccola Sally Hurst (Bailee Madison, Brothers, 2009, Un ponte per Terabithia, 2007) e la sua inquieta curiosità sembrano scatenarne il ritorno. Afflitta dalla solitudine, tra gli impegni del padre Alex (Guy Pearce, Il discorso del re, 2010, Memento, 2000), ossessionato dalle sue ambizioni, e le sincere, ma estranee attenzioni della compagna Kim (Katie Holmes, Batman Begins, 2005, In linea con l'assassino, 2002), la bambina fugge dalla realtà, tra i meandri del buio.

Parte da qui il film di Troy Nixey che assieme alle suggestioni di Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno, 2006, Hellboy, 2004, La spina del diavolo, 2001) ripercorre un'antica ossessione evocata dalla macabra e inquietante figura della fatina dei denti. Anni di attesa, ripensamenti, riprese e riflessioni, ed ecco che il telefilm degli anni '70 Don't be afraid of the dark si ripresenta al pubblico in una nuova veste.

Una struttura che ripropone i tipici stilemi dell’horror, si dipana seguendo una trama ricca di riferimenti alle favole tradizionali che nella loro innocenza presentano spesso elementi inquietanti. Fate, bambini rapiti, fanciulli che tornano da mondi lontani trasformati, menomati o semplicemente cresciuti.

Inizialmente come in tutti i misteri che si rispettino gran parte dell'orrore sembrerebbe di natura psicologica. Ma Sally (qui una bambina, a differenza della protagonista del telefilm originale) non si inventa nulla e ciò che scopre nello scantinato segreto, dimenticato da tempo, è reale. Le voci che la chiamano e attirano appartengono a creature antiche, le cui origini risalgono a un'epoca in cui fate, gnomi e demoni delle fiabe erano molto di più di un semplice aneddoto per intimorire i bambini.

Il film sembra inseguire ciò che il genere ha di meglio da offrire, ovvero la sua natura catartica e il suo carattere frastornante, giocando sull'ambiguità. Tuttavia nasconde poche stratificazioni di lettura e non convince fino in fondo. Se a volte nel corso della visione riesce a turbare, è solo per tirare un sospiro di sollievo più lungo sullo scorrere dei titoli di coda.

La regia fortemente orientata a un’estetica dell’immagine familiarizza con un gusto plastico da graphic novel. Scorrendo il curriculum del regista tutto diventa più chiaro, Nixey infatti nasce come disegnatore di fumetti, tra cui i più famosi sono: Batman: The Doom that Came to Gotham, Batman: The Gasworks, It's Only the End of the World Again, Grendel: Black, White and Red Bacon.

Location, atmosfere, inquadrature ed effetti speciali creano complessivamente un effetto che va a vantaggio della resa grafica del film, ma in prospettiva possono diventare anche un limite, soprattutto quando l'ossatura narrativa è un po’ debole. E se lo spettatore non è fumettofilo prima che cinefilo, il rischio è che rimanga un po' a bocca asciutta.