Scrivendo sulle colonne di Entertainment Weekly, Stephen King spezza una lancia in favore dei videogiochi. Pur avendo abbandonato il joystick da giovane (“ho smesso di giocare fra gli anni '70 e '80, sin da quando i miei figli mi battevano regolarmente a Pitfall!”), King si scaglia contro quei politici americani che di recente hanno avanzato proposte di legge per bandire i videogiochi dai contenuti violenti, arrogandosi libertà decisionali che non rientrano di diritto nella loro carica.

Nel Massachusetts, infatti, è attualmente in discussione un decreto legge che limiterebbe o addirittura vieterebbe in toto la vendita di videogiochi violenti ai minori di 18 anni. “Quando ho sentito parlare della legge HB 1423 ho fatto un salto sulla sedia. Tra l'altro, questa legge implicherebbe che un ragazzo di 17 anni può tranquillamente andare a vedere Hostel: Part II, ma non potrebbe comprare o affittare il pur violento ma meno sanguinoso Grand Theft Auto: San Andreas”, afferma King.

Contraddizioni che di certo non giungeranno nuove ai videogiocatori, e che purtroppo non fanno parte solo della cultura americana. Se ormai l'embargo italiano contro Manhunt 2 è già caduto nel dimenticatoio, più recente è la notizia dell'ostracismo australiano verso l'uscita del nuovo Grand Theft Auto IV, che ha costretto la Rockstar Games a rilasciare una versione “light” del gioco appositamente creata per accontentare i censori australiani, famigerati per la loro severità. “Quello che mi fa davvero arrabbiare”, continua King “è il modo in cui i politici trattino la cultura pop come un ragazzo da disciplinare. Per loro è facile, e anche piuttosto divertente, perché la cultura popolare grida sempre forte e chiaro. Inoltre, permette ai legislatori di ignorare gli elefanti nel loro salotto. Il primo elefante è il divario enorme fra ricchi e poveri, e il secondo è l'amore quasi patologico dell'America verso le armi”. Problemi assai più urgenti rispetto a dei semplici videogiochi, che secondo King altro non fanno che rappresentare una violenza già esistente nella società. “E' stato facile per i critici affermare – falsamente, si scoprì in seguito – che Cho Seung-Hui, il responsabile della sparatoria nel campus di Blacksburg in Virginia, fosse un fan di Counter-Strike; spero che i legislatori siano stati altrettanto lesti nel puntualizzare sulla facilità con cui quel pazzo si sia procurato una semi-automatica di 9mm”.

Anche il Re dell'horror quindi si discosta dalla caccia alle streghe che l'universo videludico ha subito in silenzio sin dagli albori dei pixel in movimento. Le sue non sono affermazioni affatto originali, questo è certo. Anzi, si potrebbe dire che lo zio Steve non abbia fatto altro che scoprire l'acqua calda. Eppure, le sue sono parole molto più equilibrate rispetto alle posizioni che di solito assumono gli osservatori esterni al mondo videoludico, equilibrate almeno quanto il semplice rimedio da lui auspicato per difendere i ragazzi dalla violenza: “Se i ragazzi cercano contenuti violenti, potete stare certi che riusciranno a ottenerli. I genitori devono avere il coraggio di vietare i materiali che loro ritengono offensivo, e poi spiegare perché sono proibiti. Inoltre, devono osservare la vita dei loro figli all'interno della cultura popolare – il che significa molto di più che limitarsi a controllare quali videogiochi hanno affittato giù in strada”.