In occasione della pubblicazione da parte di Edizioni Hypnos di Lemuria, prima antologia italiana dello scrittore austriaco Karl Hans Strobl (1877-1946), il prestigioso Horror Magazine mi ha fatto l’onore di intervistare il traduttore e curatore Alessandro Fambrini che non è solo un noto e apprezzato germanista e docente universitario, ma anche una persona estremamente piacevole e alla mano.

Ma ecco il resoconto della chiacchierata con lui.

Ciao Alessandro, prima di tutto grazie mille per la tua disponibilità.
Partiamo innanzitutto ricordando che Lemuria è la terza opera che appartiene a un trittico che le Edizioni Hypnos hanno deciso di dedicare al fantastico tedesco; trittico che comprende anche l’antologia collettiva Der Orchideengarten e il romanzo Alraune di H.H. Ewers, tutti tradotti e curati da te, con la collaborazione di Walter Catalano che ha scritto per ciascun volume degli interessantissimi saggi.
Premesso che molti di questi autori non godono – e non godettero – della popolarità dei loro colleghi anglosassoni, trovo però che il loro approccio al fantastico sia piacevolmente atipico e, per certi versi, anche più audace.
Cosa ne pensi a riguardo?

AF: Grazie a voi e in particolare a te, Andrea, per l'invito. E diciamo subito, intantoche il “trittico” di cui parli si inserisce in un progetto di più vasta portata, teso a una riscoperta del fantastico di lingua tedesca di inizio Novecento. Speriamo di avere le forze e l’opportunità di continuarlo e di allargare il panorama fino a comprendere altri autori e altre opere che sono lì, in attesa di essere riportate alla luce. E in effetti, per venire alla tua domanda: sì, il fantastico tedesco di quegli anni non è “popolare” nel senso in cui lo furono gli autori angloamericani e le riviste che li ospitavano. È, piuttosto, ambizioso, raffinato, sperimenta con la scrittura (gli anni Dieci del Novecento sono gli anni dell’Espressionismo, un movimento di avanguardia e di grande rivoluzione formale) oppure, al contrario, prende a modello i classici ottocenteschi o le ricercatezze del decadentismo. È questo il caso di Strobl, un autore che, nel suo periodo di maggiore vivacità creativa, più o meno fino al 1920, costruisce le sue opere su una nota di sensibilità estenuata, di maniacalità ossessiva, che funziona – quando funziona – come una musica ipnotica tesa a indurre uno stato stuporoso simile all’effetto dell’oppio. In questi spazi che si aprono al fantastico, in effetti, non ci sono confini: perciò l’impressione di audacia, che tu hai colto benissimo.

Le visioni di Strobl sono vertiginose, sfrenate, e non soggette a censura, piene di un erotismo traboccante: si pensi a un racconto giustamente famoso come 'La testa', in cui i cadaveri di un uomo e di una donna si fondono, e la coscienza maschile rivive con voluttà le esperienze amorose della sua partner. Ma non solo Strobl: la rivista 'Der Orchideengarten' (che peraltro vedeva proprio Strobl come direttore responsabile, benché il suo fosse un ruolo quasi puramente formale) presenta numerosi racconti sperimentali, molti dei quali estremamente trasgressivi, e 'Alraune' di Ewers scandalizzò il pubblico dell’epoca (e forse lo scandalizza ancora) per la sua sensualità esplicita al limite della pornografia, le scene di stupro, il sadismo, la pedofilia.

Comunque, a correggere parzialmente la tua affermazione, vi è da dire che alcuni autori tedeschi specializzati nel fantastico – tre in particolare: i già rammentati Ewers e Strobl, e Gustav Meyrink – godettero all’epoca di una notevole popolarità, anche al di fuori della Germania, e sono rimasti ancora oggi nel canone. Nel canone del fantastico, almeno.

Leggendo Lemuria, una delle cose che mi ha maggiormente colpito è la notevole capacità di Strobl di cambiare tono e registro narrativo in modo anche molto sorprendente. Penso ad esempio a racconti dalle tinte cupe e grevi come il crudissimo La testa o al conclusivo Accadono orrendi, novissimi gesti. Nel mezzo, abbiamo storie dell’orrore (La tomba di Père Lachaise), di fantasmi (Ombre cinesi, Laerte), puntate nella protofantascienza (ancora La tomba di Père Lachaise) e addirittura piccoli intermezzi godibili e quasi umoristici, come Il trionfo della meccanica.
A cosa è dovuta tanta versatilità?

AF: La mia impressione è che Strobl, all’inizio della sua carriera, provasse un grande piacere, quasi un’ebbrezza nello sperimentare registri diversi e sempre nuovi. Nello stesso periodo in cui scriveva questi racconti, si dedicava anche ad altri generi, a opere di carattere storico, a commedie di costume, al poliziesco (nel 1915 pubblicò una curiosa versione di Barbablù al femminile, 'Madame Barbablù', che è appunto un romanzo giallo), il cui tono è molto variato. Da questa libertà scaturisce, credo, il suo eclettismo, che viene meno con il passare del tempo, fino ad appiattirsi sui toni monocordi dell’ultimo periodo della sua produzione, in cui s’infiltra sempre più massicciamente la sua ideologia reazionaria. È come se le sue ossessioni, quelle che vivificano la sua produzione fantastica, finissero per soffocarlo e fare di lui uno dei suoi personaggi, perseguitati dal loro stesso delirio al punto di non essere più in grado di distinguere la realtà dalle proprie visioni febbrili.

La prima cosa che lessi di Strobl fu un racconto pubblicato alcuni anni fa sulla rivista Hypnos, sempre con la tua traduzione. Si intitolava La moneta bizantina e ricordo benissimo che rimasi molto impressionato non solo dalla trama, ma soprattutto dalla violenza piuttosto esplicita e parecchio dettagliata, e anche in Lemuria possiamo trovare scenari simili, come nel già citato La testa. Ora, conoscendo i grossi problemi economici e sociali che gravavano sulla Germania in quel periodo (primo dopoguerra), credi che questo si riflettesse nei lavori di Strobl e in particolare sulle atmosfere assai pesanti e ossessive che spesso lo caratterizzano?

AF: Sì, 'La moneta bizantina' fu scritto nell’immediato dopoguerra, ma la maggior parte dei racconti di 'Lemuria' appartengono al periodo precedente alla guerra. Guardando alla storia, forse è fin troppo facile dire che i racconti di Strobl rappresentano l’aria di crisi che si respirava in quegli anni, la sensazione di trovarsi alle soglie di un cambiamento epocale, alla fine di un lungo periodo di stabilità e sul ciglio di un precipizio di cui non si vedeva il fondo. Strobl era austriaco, e quell’atmosfera circola largamente nella letteratura dei suoi conterranei del tempo. Strobl sente che un’epoca – che lui considera aurea, passando sopra alle ingiustizie e alle brutture che la caratterizzavano – sta per finire, e dà certamente voce anche a quel sentimento, intrecciandolo con le proprie ossessioni personali. È la stessa atmosfera che, in altri autori, si traduce in visione apocalittica (penso a molta letteratura dell’Espressionismo, il movimento che citavo poco fa) oppure, al contrario, in progetto politico teso a costruire alternative a quelle forme di società che hanno prodotto il caos prebellico e la guerra stessa (e qui penso alle lucide analisi dell’'Uomo senza qualità' di Musil o all’opera di Bertolt Brecht che inizia in quegli anni la propria parabola).

Un altro elemento a mio parere peculiare di Strobl è una certa tendenza ad una sessualità dagli aspetti piuttosto morbosi, cito in proposito La suora cattiva ma anche L’omino dei salassi.
Sei d’accordo?

AF: Sì, certo. Come dicevamo poco fa, questo elemento è assolutamente fondamentale e caratterizzante. È un punto in cui la misoginia anche fastidiosa di Strobl riesce a fondersi con qualcosa che, miracolosamente, la contraddice. Il racconto 'La testa', a mio parere, è quello più probante in tal senso: lì è come se Strobl si lasciasse andare alle sue pulsioni più segrete, al piacere proibito di essere donna, finalmente, e non più l’uomo terrorizzato dall’universo femminile che traspare da molte delle altre storie, dove i suoi personaggi ricorrono a tutte le possibili strategie di isolamento per non cadere nella trappola, per non cedere al richiamo irresistibile delle sirene che li tormentano. Invano, ovviamente (e per fortuna).

Strobl era di dichiarate simpatie naziste e in moltissimi suoi scritti, come già detto, certe sue convinzioni emergono in modo a dir poco sgradevole, ad esempio in racconti quali Take Marinescu o Busi-Busi. Eppure, dal punto di vista squisitamente letterario, è stato capace di produrre autentiche meraviglie, di cui oggi possiamo godere anche grazie al tuo notevole lavoro e a quello di Hypnos.
Tuttavia, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca, è un autore che risulta indubbiamente molto “scomodo” e, se scritte al giorno d’oggi, molte sue cose sarebbero semplicemente impubblicabili. Non mi permetto di chiederti un parere politico, ma forse mai come ora bisognerebbe essere in grado di riuscire a separare il lato privato degli artisti dalle loro opere, non trovi?

AF: Se con questa tua affermazione intendi dire che dobbiamo condannare l’uomo Strobl e salvare Strobl lo scrittore, sono d’accordo. È quello che abbiamo fatto con questo libro, dopotutto. Purtroppo, tuttavia, di Strobl non ce ne furono due, ma uno solo, e l’autore che ci affascina è anche l’uomo che disprezziamo. L’adesione di Strobl al nazionalsocialismo, quando questo sorgerà nel dopoguerra, appare lo sbocco naturale di una tendenza che questi racconti mostrano già in piena luce, e che ingenerano spesso quel senso di sgradevolezza alla lettura di cui tu hai parlato. Da questi elementi non possiamo prescindere, e siamo stati attenti, tanto Walter Catalano nella sua postfazione quanto io nell’introduzione, a metterli in evidenza.

Perché l’importante è presentarsi alla lettura di opere come queste forti degli strumenti più acconci per una loro interpretazione. Non voglio certo dire che devono leggerle soltanto i “professori”, tutt’altro: ma che devono essere inquadrate nel loro contesto storico e, se si deve separare qualcosa da qualcos’altro, direi che si deve tentare di distinguere la loro forza fantastica e la capacità di visione che esse veicolano (elementi di “apertura”, e perciò progressivi) dalla stessa volontà degli autori che le esprimono e dal trito repertorio reazionario al quale essi si affidano. Un esempio illuminante mi sembra il racconto che hai nominato, 'Busi-Busi'. Se lo consideriamo alla lettera, è una storia repellente: lo stregone africano e il suo popolo sono dipinti secondo i più biechi stereotipi razzisti e a tale orrenda descrizione corrisponde una malvagità impressionante. Eppure, a un secondo livello, nel racconto meraviglia e sorprende la capacità di questo popolo primitivo di trascendere i limiti del possibile: un popolo che conosce la realtà in modo più profondo dell’ “uomo bianco” e possiede strumenti più raffinati per servirsene e compiere imprese che l’occhio scettico dell’europeo considera alla stregua della magia e del miracolo. Questo racconto, alla fine, è la confessione e la denuncia di come dietro ogni razzismo si proiettino invidia e paura. È la voce grossa fatta da chi si sente piccolo piccolo, impotente e sperduto.

Ad ulteriore conferma di ciò, abbiamo un racconto che di tutta l’antologia è forse quello che personalmente mi ha più impressionato: Take Marinescu. Una storia in cui l’elemento fantastico è quasi assente, ma che è una di quelle opere in cui Strobl si lascia più andare a giudizi pesantemente razzisti nei confronti dei “diversi”, rappresentati in questo caso da una popolazione di etnia tzigana che vive in una zona molto arretrata delle Alpi Transilvaniche.
Eppure, nel finale, emerge addirittura una sorta di ammirazione verso di loro, al punto di affermare, testualmente, che: “Credo che dovremo imparare ancora molto, prima di essere all’altezza di questa gente”.
Qual è il tuo pensiero a proposito di quest’altra palese contraddizione?

AF: È proprio così, e quello che dici rafforza quanto sostenevo nella precedente risposta. È la forza di questa contraddizione che ci rende Strobl, tutto sommato, un autore così interessante. L’ignoto che lo attrae è quello che attrae anche noi, e dietro la sua reazione di rifiuto intravvediamo il suo contrario: la voglia di lasciarsi andare a esso, di abbracciarlo con tutto se stesso, abbandonandosi alle spalle tutto il cascame della sua ideologia. Strobl vorrebbe "diventare" Take Marinescu. Io non so quanto l’autore austriaco conoscesse la cultura e l’onomastica romena (sicuramente non ignorava che, all’epoca in cui scrisse questo racconto, un importante uomo politico romeno si chiamava Take Ionescu), ma fin da quando ho letto questo racconto ho avuto l’impressione che in quel nome, “Take”, ci fosse anche la forse involontaria e inconsapevole sovrapposizione del verbo inglese “take” e quindi il titolo nascondesse l’invito a “prendere” Marinescu, a fondersi con lui. Ma forse ora la sto tirando troppo per i capelli.

Nella bellissima diretta Facebook di presentazione a Lemuria, tu e Walter Catalano avete rimarcato più volte come una delle cause che spinsero Strobl a farsi travolgere dalla fascinazione verso l’ideologia nazionalsocialista fu probabilmente il fatto di sentirsi un po’ un “tedesco di serie B”, nato cioè in una regione ai margini dell’impero asburgico, la Moravia, a differenza invece di un autore più raffinato e di mentalità più aperta come Ewers, originario della Renania, che si avvicinò al nazismo più che altro per opportunismo, e che in seguito criticò aspramente e dal quale si dissociò.
Strobl invece morì poverissimo e dimenticato da tutti, ma senza mai rinnegare le sue idee.
Perché secondo te in lui non ci furono mai segni di ravvedimento, nonostante fece in tempo a vedere con i propri occhi il crollo del Terzo Reich, con tutto quel che si portò dietro?

AF: Beh, è vero che Ewers se ne dissociò, dopo che i suoi libri furono bollati come decadenti e vennero banditi, ma anche questo suona come un po’ opportunistico, e comunque non lo assolve dai suoi peccati, come scrivono anche i suoi biografi. Ciò che gli accadde se lo meritò in pieno. Quanto a Strobl, suppongo che fosse veramente un nazista convinto, e anche lui si meritò in pieno di venire travolto da una storia che non aveva saputo leggere né interpretare. Il nazionalsocialismo, del resto, lo aveva ricompensato con incarichi importanti e coperto di gloria effimera, lui che ormai come scrittore negli anni Trenta era praticamente “bollito”. Che si sia ravveduto alla fine, è anche possibile. Non abbiamo modo di saperlo, ma certo è che non ebbe molto tempo per farlo, dato che morì all’inizio del 1946. Però, se devo immaginarmi quei suoi ultimi giorni, temo che si sia piuttosto consumato nella rabbia impotente, coerentemente con molti personaggi dei suoi libri, vedendo cosa avevano fatto di lui coloro che considerava “sottouomini”: i russi dell’Armata Rossa, nella fattispecie, che lo misero ai lavori forzati per ricostruire le strade devastate dell’Austria, prima di affidarlo a un ospizio nei pressi di Vienna, dove si spense in estrema miseria.

Siamo alla fine. Ringraziandoti nuovamente volevo chiudere con una domanda pensata per quanti magari sono incuriositi dalla figura di Strobl, ma che non hanno ancora avuto modo di approcciarsi a lui.
Perché credi che oggi, nel 2020, sia importante leggere questi autori (ci metto in mezzo anche Ewers, e altri), nonostante possano risultare un po’ datati e, per i motivi già detti, ostici?

AF: Premesso che sono io a ringraziare te, ritengo che questa domanda sia molto

importante. Quelle dei tre volumi pubblicati da Hypnos – 'Der Orchideengarten', 'Alraune' e questo 'Lemuria' – sono esperienze di lettura molto diverse tra loro. Eccentricità, fantasia sfrenata al potere, genialità a volte un po’ intemperante, con un apparato iconografico raffinatissimo in 'Orchideengarten'; decadenza condita di nichilismo e sadismo, e un fantastico ambiguo che confina con la fantascienza in Alraune; e le visioni ossessive, la realtà che si deforma sotto la lente di una sensibilità morbosa che sfiora il patologico nei racconti di Strobl. Tre modi diversi di rappresentare un senso di spaesamento e di vertigine che sta alla base della nostra identità di moderni. Opere come queste sono specchi non solo del nostro passato, ma anche del nostro presente: riflettendo mondi fantastici e perduti, ci permettono di proiettarci in essi e di allargare i confini del nostro immaginario.