Provaste terrore, un assaggio del panico che presto avreste scatenato sul mondo intero e che avrebbe schiacciato ogni cosa nella sua morsa di tenebra e disperazione.

Strane voci assalivano le vostre menti, richiami di un’era passata in cui l’uomo non era né cacciatore né preda, ma cibo e nutrimento per incubi indomiti che, dopo eoni di latenza immemore, riaffioravano alla coscienza.

Dopo che si fu fatto voce, l’orrore prese forma, un sembiante effimero ma sufficiente ad assalire i vostri fragili esseri, a tormentarli con immagini tali che la guerra appariva sopportabile al confronto. Foste oggetto di scherno, tu e i tuoi compagni, come marionette, le vostre anime furono soggiogate a invisibili catene in grado di costringervi all’immobilità di ogni pensiero, all’inesistenza, pur concedendovi una forma di coscienza.

Tu fosti in grado di reagire, tuo era il destino del demone.

Imbracciasti il fucile e facesti fuoco sulle ombre che cercavano di piegare il tuo animo. L’acciaio del proiettile, il nulla di quelle forme. La carne dei tuoi compagni. Una granata sull’uniforme di uno di loro.

Esplosione.

Nere rocce di basalto che s’infrangono sulle pareti della caverna. Scintillio di pietre che balenano tra le fiamme come occhi insanguinati. Ombre si disegnano e prendono vita su quei muri che luce non conoscevano. Poi il buio.

Silenzio.

Silenzio che incalza strisciando da un pozzo precedentemente sigillato, una tenebra capace di assorbire ogni luce, di annientare ogni animo. Un incubo che tu stesso, nelle vesti d’inconsapevole sacerdote evocatore, avevi riportato a una parvenza di vita. Una forza che reclamava a sé le singole energie degli uomini, le loro speranze e i loro sogni, per piegarli e renderli simili a sé stessa.

Così parve in quegli istanti in cui il panico si sostituì alla ragione e la tua anima fu soppressa per lasciare il posto alla bestia che desiderava solo preservare la propria esistenza. Così ti parve, ma non esisterà mai uomo in grado di comprendere e sondare la mente dell’incubo, perché tale tormento è dissoluzione, tale angoscia è pazzia, tale oppressione non ha mente e le ragioni del suo agire sono imperscrutabili.

Ma i motivi del tuo agire, demone?

Calpesti le carcasse, massacri coloro che un tempo furono vivi, ma che ormai di vivo hanno solo l’involucro, bruci coloro che ancora sono uomini al punto da poter sognare, affinché la loro forza non dia vigore al terrore quando incorreranno nella loro inevitabile fine.

Cosa ti spinge, demone? Vendetta? No, non è questa la tua ragione d’esistere, perché se causa vi è a questo incubo fattosi realtà, ebbene quella sei tu. Mai rinunceresti alla vita, ma non per timore della morte quanto per non abbandonare l’occasione di soddisfare un desiderio di vendetta.

Giustizia? Non vi è giustizia dove non vi sono uomini che la definiscano, e tu non sei un uomo, demone.

Esisti per consumare, agisci in quanto demone. Cammini lungo le buie e deserte strade di un mondo che si sta spegnendo accendendo fiamme luminose in cui ardono le ultime speranze e i sogni più duraturi.

Finché non rimarrete che tu e la tenebra, nessun luogo ove andare, nessun sogno da consumare.

Tu e l’orrore che si cela nell’oscurità, dal quale sei sempre fuggito accendendo le tue luminose pire funebri. Allora, solo allora capirai che mai ti sarà concesso di comprendere.

Il vuoto dentro e fuori di te, il cerchio si chiude e tu sarai l’anello mancante.

Brucia fuoco, divora anche il sembiante dell’ultimo adamo, fattosi demone per affrontare ciò che non può capire, per esistere là dove non vi è spazio per ciò che ha coscienza d’esistere.

Consuma ogni suo singolo atomo, ogni parte dell’immateriale involucro che custodisce ciò che egli ha sigillato per tema che lo sbranasse.

Lascia che il vuoto, anima del demone, sia libero di tornare alla tenebra che lo ha generato.

Eterno silenzio.