Attivi sin dal 1977, i nostrani Death SS s’inseriscono a pieno titolo tra i pionieri dell’horror metal: dalle mascherate degli esordi alla svolta della tetralogia di concept che dovrebbe chiudersi con The Seventh Seal (atteso per il 2006) hanno attraversato tutti gli stili riconducibili al genere, fino alla particolare visione dell’Industrial di Humanomalies.

Le risate e grida di bambini di The Sideshow c’immergono in un’atmosfera da fiera e una voce annuncia l’inizio dello spettacolo circense accompagnata da una marcia per banda paesana. Improvvisamente, con un salto nella tonalità minore, le risate diventano più sinistre e le grida più strazianti. Non è un semplice spettacolo di animali o acrobati quello a cui stiamo per assistere, ma uno psicotico passatempo di esseri umani che scrutano dei “diversi”.

La musica di Grand Guignol ci viene sbattuta violentemente in faccia tramite suoni elettronici e un riff ossessivo; quasi fosse uno slogan, il ritornello ci convince che “sangue e brividi saranno garantiti per tutti”. Il puzzle di voci e rumori non ci abbandona in Hell on Earth: l’inferno sulla terra consiste nell’avere come amante una creatura per metà bestia e per metà donna, mostro e Dea, fenomeno in grado di pietrificare dal terrore ma anche di scatenare un’irrefrenabile passione. Il doppio volto dell’amante si riversa anche nell’architettura del brano: la chitarra si divide tra un pianto dolorosamente bestiale e un aggressivo riff, mentre l’approccio melodico della voce è controbilanciato da uno statico effetto chorus.

L’avanguardia è raggiunta da Pain. Non stiamo più parlando di orrore visivo, né di dolore fisico vero e proprio, ma di un tormento che logora dall’interno. Le voci si fanno strumento ritmico, pulsazione, descrizione dell’emozione, e la sezione centrale è una figura a metà strada tra battito cardiaco (interno) e sinistro passo in avvicinamento (esterno). Se dell’interno si occupa la sezione ritmica attraverso anche le raffinatezze dell’effettistica vocale, i brividi sono opera delle gelide tastiere e della chitarra lancinante.

L’orrore interno al corpo si sposta, in Mind Monstrosity, nella mente, dove a esseri anomali si accoppiano strani suoni e rumori; certi effetti che sembrano presi a prestito dal sonoro di un film di fantascienza, in The sleep of reason si amalgamano a un più classico organico fatto d’archi e piano, ma abbiamo qui, paradossalmente, uno dei pochi assoli di chitarra. La schizofrenia musicale è espressione delle liriche. Ora è il mostro ingabbiato nella mente di ognuno di noi che parla: voce (o “voci”?) smorzata, quasi quella di un paziente sotto ipnosi.

La liturgica richiesta di pietà del Miserere si tinge di Medioevo con i colori dell’organo e del profondo coro in stile gregoriano. L’organo si dispiega severo e monolitico nella stanza più fredda del disco, buia e immensa come un’antica cattedrale. Il colore si fa più sintetico nello stacco repentino che lega questa breve composizione a Sinful Dove. Restiamo in ambito ecclesiastico, ma la durezza della chitarra e del basso rivela il conflitto interiore della figura adesso rappresentata: una suora alle prese con le sue fantasie notturne, nel chiuso della sua stanza. La strofa soffocata, geometrica, risulta quasi più claustrofobica della quarta traccia, quasi volesse prendere le misure della gabbia in cui la peccatrice si è rinchiusa. La tastiera cinguetta e zampilla liquida come sangue che scorre. L’incalzare singhiozzante degli altri strumenti sembra rimpicciolire progressivamente l’ambiente, strozzandolo da stanza a letto (o altare?), da letto a corpo (o sacrario?), dove l’eucaristia acquista un significato morboso nello spazio ancor più ristretto (o immenso?) delle fantasie della suora. Le ripetute spinte dell’accompagnamento portano al climax e all’apertura del ritornello che, sul volo della colomba, si distende melodicamente.

Le fantasie perverse della suora quasi sbeffeggiano il jagger-amarcord della cover, dove chi trovava anormale una certa “simpatia per il diavolo”, resta sconcertato al discoprirsi del velo: l’uomo vagheggiato dalla colomba peccatrice è Cristo solo agli occhi di un’anima tentata, chi si nasconde dietro quest’apparenza è qualcun altro (ma cosa sarebbe peggio?). Torna dunque il tema della relatività dell’orrore: è più anormale una donna dall’apparenza bestiale, ma capace di provare passioni e sentimenti, o un essere umano che soffoca i propri istinti naturali? Dal punto di vista musicale, la rielaborazione del brano degli Stones fa perno principalmente sull’innesto di ricercatezze elettroniche, soprattutto a livello tastieristico e vocale.

Il circo ha da sempre un doppio volto. Popolato da esseri umani bellissimi in abiti luccicanti è anche spazio per belve feroci; ma sono semmai queste ultime, di solito, a soggiacere cinicamente alla volontà dell’uomo. Allegro e sfortunato al tempo stesso, pure il clown è una maschera ambigua capace di inquietare. E qui si tratta espressamente di un circo della morte. Niente bellezza e niente allegria. La bipolarità permane solo a livello musicale. Circus of Death parte in sordina e il contrasto col potente riff di chitarra in distorsione (una parziale trasposizione della Marcia Funebre di Chopin) risulta straniante.

Feast of Fools e Evil Freaks sono le tracce dalla struttura più tipicamente heavy, se non altro per il ruolo di maggior spicco ricoperto dalla chitarra. Lo schema è il classico strofa-ritornello, ma associato al collage rumoristico. Siamo di fronte al ribaltamento tipico del Carnevale: adesso guidano i folli.

American Psycho, lo psicopatico ideato da Easton Ellis, è solo un pretesto per mettere in scena orrori che si nascondono dietro altre maschere di apparente razionalità. Ciò che sembra essere messo in discussione è lo strapotere decisionale di chi si arroga il diritto di mantenere un ordine soggettivo attraverso il controllo dello schermo. Voci e strumenti si trascinano affannosamente in avanti quasi fossero un corteo di condannati a morte. Il ritornello suona tra parodistico inno nazionale e coro di schiavi al lavoro. La sperimentazione elettronica si spinge fino alla dissonanza, in una matassa di suoni che pare simboleggiare il livello d’intelligibilità del messaggio in discussione. In Weird World i suoni si fanno sempre più caotici e disumani e l’anima del circo infine ride di noi stessi, non più capaci di distinguere le promesse fatte durante il Grand Guignol da quelle dell’American Psycho.

Se il lavoro si era aperto con la presentazione dei mostri quali fenomeni da baraccone, dopo questa carrellata non sorprenderà la conclusione (Abnormal) che, in realtà, solo chi è diverso può vincere la paura e conquistare la libertà: il normale è limitato, appartiene a un mondo ordinato (da chi e perché?) e perfetto (davvero?) a cui si conforma solo per esigenza di sicurezza (ma chiuso nella sua stanza che fa?). Lo scherzo della natura può esser visto come scultura vivente, artista anche solo grazie al suo corpo (troviamo samplers tratti da esibizioni di body performers) e lo shock visivo è forte proprio perché non mediato da rassicuranti maschere e bugie. Le sonorità estremamente sperimentali sono ormai al di fuori dei limiti (umani?) e lo show sfuma lasciandoci addosso la sensazione che i personaggi che abbiamo incontrato non siano ancora stati congedati, o forse… after all, It Was You and Me…

Tracklist

1. The sideshow

2. Grand Guignol

3. Hell on earth

4. Pain

5. Mind Monstrosity

6. The sleep of reason

7. Miserere

8. Sinful dove

9. Sympathy for the Devil

10. Circus of death

11. Feast of fools

12. Evil freaks

13. American Psycho

14. Weird world

15. Abnormal