L’orientale ricambiò lo sguardo poi scrollò le spalle.

— Cibo — biascicò in un italiano stentato, prima di chiudere la porta.

Filieri trattenne un conato di vomito.

— Hai visto? — balbettò.

Il compagno, tremando per il ribrezzo, annuì e si avviò verso il fondo del corridoio. Teneva la bocca semi aperta e un filo di saliva gli colava sui baffi. Gli sportelli dei quadri elettrici spiccavano sulla parete, con i vetri in frantumi sparsi per terra come fiocchi di neve.

— Finiamo il lavoro e andiamocene. — disse preoccupato.

Filieri si avvicinò. Sugli interruttori brillavano le familiari luci rosse. Normalità. Vita reale. Elettroni che scorrono nel rame avvolto dalla plastica.

Sistemali e vattene.

Estrasse il cacciavite attaccando le guarnizioni. Un attimo dopo si sentì toccare sulla spalla. Aironi, pallido come un cadavere, indicò con la mano un portoncino, con un buco al posto della serratura e un foglio appeso, scarabocchiato con caratteri cinesi. Un altro topo, grasso e dai lunghi baffi, grattava sulla plastica cercando di entrare.

— Che vuoi fare? — chiese Filieri senza fiato.

— Hai mai visto un topo comportarsi così?

— Cambiamo i differenziali e usciamo — replicò lui con ansia. Se ne fregava dell’anzianità del collega. Voleva solo rivedere il sole

Aironi, per tutta risposta, spinse la porta con la punta del piede, aprendola. Il ratto si infilò rapido dentro.

Prese la torcia appesa alla cintura e illuminò l’interno.

Fece un salto indietro, finendo addosso al compagno.

Il pavimento, un ammasso di occhi, code e corpi tozzi, brulicava di vita come un mare in tempesta,

Topi.

A centinaia, ammucchiati l’uno sull’altro in un groviglio inestricabile. L’appartamento non aveva pareti divisorie. Da un lato un cumulo di materassi faceva da nido a colonie di ratti, che entravano e uscivano dai buchi dell’imbottitura come api in un alveare. Dall’altro lato, invece, due orientali, vestiti con un camice bianco sporco di sangue, macellavano animali su un tavolo di plastica, tirando colpi secchi di coltello.

Non appena videro i due operai si fermarono di colpo, le lame ancora sospese nell’aria.

Filieri non tremò per quella visione da incubo.

Urlò invece per ciò che vide accanto ai macellai. Due topi grandi come vitelli, con i musi coperti di bava e i baffi vibranti spessi come corde. Stavano ritti sulle zampe, con gli arti superiori che si aprivano e chiudevano come mani artigliate.

Agguantò il compagno e corse via, lungo il corridoio, tra lampi di luce gialla e tratti bui pieni di ombre furtive. Imboccò le scale, divorando i gradini con frenesia, sino a inciampare nell’ultima rampa.

Cadde e rotolò sull’atrio del primo piano. Si voltò disperato, immaginando la marea grigia corrergli incontro.

Non c’era nulla. Solo il compagno, steso per terra.

Si rialzò a fatica, scivolando sul pavimento unto, e lo aiutò a rialzarsi. Subito dopo sbarrò la porta delle scale, incastrandola con una pinza.

— Che cos’era? — chiese finalmente con un rantolo.

Aironi tremava per lo paura. — Un allevamento — mormorò. — Topi da macellare. Cibo per gli inquilini.

Si scosse con un ultimo tremito.

Corsero verso l’uscita, una piccola scintilla di luce al termine del lungo budello scuro.

La fuga durò poco.

Tre uomini sbarravano il corridoio. Alti, massicci, con magliette multicolori.

E senza testa.

Il cuore di Filieri saltò un battito. Cercò a tentoni un interruttore. I neon lampeggiarono di nuovo, accecandolo con lampi di luce fredda.

Non erano senza testa.

Erano incappucciati. Abitanti anonimi di quel condominio dimenticato da Dio.

Bloccavano la via verso l’invitante salvezza alle loro spalle. Aironi si appoggiò alla parete e scivolò a terra strisciando sulla schiena. Si prese la testa tra le mani e iniziò a piangere con lunghi singhiozzi strozzati.

— Calma — lo scosse Filieri — Magari vogliono solo soldi.

L’altro si scoprì il volto, umido di lacrime, e rimase a terra mentre i tre si avvicinavano.

Posso trattare, pensò frenetico. Regalargli gli attrezzi. Comperare un po’ di merce. Anche le chiavi della macchina. Tenete ragazzi, è tutta vostra. Va bene così, no? Ora fateci passare…

Un luccichio attirò la sua attenzione.

Acciaio.

Machete, brillanti e affilati, con i manici in legno consumati e pieni di graffi.

Uno dei tre aprì una porta con la punta dell’arma. Ormai erano così vicini che poteva sentire il tanfo di sudore e l’alito marcio. L’uomo fece un cenno con il capo verso l’infisso.

Filieri gettò uno sguardo all’interno, illuminato da una lampadina nuda appesa a un filo.

Intonaco scrostato, finestre murate e macchie di sangue rappreso.

E corpi appesi al soffitto, con i ganci arrugginiti infilati nel collo e le lingue gonfie che spuntano dalle bocche spalancate.

Cadde in ginocchio, scivolando in una lenta follia, con il corpo fradicio di sudore freddo, mentre una lama si avvicinava alla sua gola.

Non a tutti, pensò con l’ultimo barlume di ragione, piacciono i topi!