Ho visto il nuovo film di Federico Zampaglione, TulpaPerdizioni mortali, a Cattolica, durante la rassegna cinematografica organizzata dal Gran Giallo di Cattolica (al suo 40° anno), che richiamava i passati fasti del Mystfest, e che proprio grazie alla decisione di proporre al pubblico film italiani di qualità (quest’anno, oltre a Tulpa, sono stati proiettati Cha cha cha di Marco Risi e La città ideale di Luigi Lo Cascio) intendeva ridare energia e nuova vita a questo storico festival estivo.

Interessante e suggestivo lo scenario in cui è stato trasmesso un thriller dai toni forti come Tulpa, ovvero un cinema all’aperto allestito direttamente in spiaggia, a due passi alla centralissima piazza Primo Maggio, che ha visto la partecipazione di un pubblico foltissimo ed eterogeneo.

Se l’occhio, durante l’incipit del film (una delle scene più crude e terrificanti di tutta la pellicola), era senz’altro calamitato dallo schermo e da ciò che stava succedendo, dall’altra cercava di cogliere le reazioni del pubblico, che si sono dimostrate contrastanti: qualcuno si è coperto gli occhi con le mani, qualcun altro è balzato in piedi ed è scappato via, ma la stragrande maggioranza è rimasta inchiodata alle sedie, catturata dal climax che Federico Zampaglione è riuscito a ricostruire nella prima, formidabile sequenza della pellicola.

E dunque, uno degli obiettivi principali del regista direi che è stato raggiunto: dare vita a un incipit di effetto, capace di afferrare lo spettatore per i capelli e trascinarlo all’interno del film, per non farcelo più uscire. Questo anche grazie alla potenza della colonna sonora, di altissimo livello, anche se Federico Zampaglione, nonostante il suo riconosciuto talento musicale, non vi abbia partecipato direttamente. Le musiche sono, infatti, di suo fratello Francesco insieme ad Andrea Moscianese, e riescono ad avvolgere lo spettatore in una bolla sonora suggestiva e intrigante, perfettamente amalgamata con lo scorrere delle immagini.

Dopo la curiosità per questo primo impatto del film con il pubblico, mi sono rilassato e ho guardato Tulpa con la stessa curiosità partecipativa che sembrava animare tutti gli spettatori che mi circondavano. Il film riesce a mantenere fede alle aspettative, e lo fa con una fotografia limpida eppure capace di sfumature in chiaroscuri che si adeguano al cambio di ritmo fra giorno e notte, quando dal mondo reale, in cui ci muoviamo tutti, si precipita nelle nefandezze di un universo fatto di sangue, eccitazione e depravazione umana, in cui gli attori del film si muovono come creature ben definite.

Claudia Gerini, protagonista del film e donna dalla bellezza conturbante, convince con una recitazione mai sopra le righe, vicina a quel cinema anni Settanta da cui Zampaglione pare avere preso ispirazione più di quanto riescano a farlo la fotografia e le ambientazioni del film, che pure si rifanno alle pellicole di Fulci, Bava e, perché no, del primo Dario Argento, quello di “Profondo Rosso”. E non è semplice, per un’attrice d’oggi, colorarsi di queste sfumature amarcord, pur restando saldamente ancorata agli incubi moderni di depravazione di cui sentiamo parlare spesso dai rotocalchi di cronaca nera. E poi, il surreale eppure solidissimo Nuot Arquint, nella parte di un guru tibetano che ricostruisce con la paura e il sangue le perversioni più malate dei clienti del club di scambisti - il Tulpa, appunto - in cui la Gerini si aggira di notte, dopo avere smesso i tailleur della donna manager in cui si muove di giorno.

Inutile, a mio avviso, raccontare troppo della trama del film, anche perché se ne può leggere ovunque sul web. E forse non ha neppure troppo senso insistere con i paragoni a quel cinema di mistero e sangue che ha attraversato gli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Mi piace cercare di pensare a Tulpa come a una pellicola dei nostri giorni, che cerca di ridare fiato a un cinema italiano che ormai pare bloccato e avvitato intorno ai soliti cliché della commedia e dei cinepanettoni, e che non riesce a esprimere l’anima più creativa, per quanto nera e torbida, della tradizione cinematografica italiana. Ecco infatti che nelle scene più cupe, nei corridoi bui del culb Tulpa e nelle suggestioni dell’Eur notturno, Zampaglione dà il meglio di sé, riuscendo a scatenare il brivido e la paura insieme all’eccitazione erotica, e lo fa senza inutili moralismi o messaggi subliminali da sparare contro lo spettatore: non ci sta dicendo di fare attenzione alle nostre doppie vite, alle perversioni che inevitabilmente ognuno di noi nasconde nell’armadio; ci sta dicendo che comunque vada là fuori il mondo nasconde qualcosa di terribile, qualcosa di tenebroso che, prima o poi, potrebbe metterci le mani addosso, e poco importa chi siamo nella vita reale, come ci muoviamo e come agiamo di giorno, quando la luce ci toglie le ombre di dosso. E’ di notte che le creature più spaventose si aggirano fameliche, e noi potremmo essere fra queste.

Ovviamente, film di questo genere, che fanno del gusto del brivido e del torbido (e dell’eros) uno dei loro punti di forza, non può che scatenare pareri contrastanti: o lo si ama o lo si odia. In modo viscerale e completo.

Ma stando ai miei gusti personali, e al pubblico che mi circondava durante la visione del film sulla spiaggia di Cattolica, credo che film di questo genere, girati da filmaker come Zampaglione, possano solo fare bene al cinema italiano. Al di là delle considerazioni di gusto, del piglio critico a cui molti cinefili si aggrappano per necessità di sopravvivenza, e delle polemiche che ravvivano lo smorto ambiente del cinema italiano, credo che pellicole come Tulpa siano un passo sincero verso il ritorno a un cinema nazionale fatto non solo di risate demenziali e moduli super sperimentati, ma anche di coraggio, di un pizzico di pazzia e tanto amore, che ormai da troppo tempo mancano ai nostri professionisti del lungometraggio.

E dunque ben vengano film come Tulpa, che il pubblico non dovrebbe mancare di guardare per capire da che parte schierarsi. In attesa della prossima prova di regia di un talento sincero come Federico Zampaglione.