Bruno è uno studente spagnolo impegnato presso la scuola internazionale di cinematografia Marnau. Orfano di entrambi i genitori, il giovane è costretto a lavorare in archivio per cercare di pagarsi parte della retta, il che lo sottopone a turni di lavoro che, associati agli impegni di studio, divengono estenuanti. La psiche del giovane, provata dallo stress, comincia a sviluppare visioni in cui appare un ragazzo, morto anni prima, che sembra volerlo mettere al corrente di un'oscura realtà riguardante il passato della scuola. Affiancato da Arianna, sua compagna di corso, Bruno entra in possesso del thanatoscopio, un antico artefatto appartenente all'istituto in grado di riprodurre, su una lastra fotosensibile, l'ultima immagine rimasta impressa sulla retina dei defunti. Ma al ritrovamento dell'arcano meccanismo segue una serie di efferati omicidi, che hanno tutta l'aria essere in qualche modo connessi a esso.

Giunge sul grande schermo la seconda impresa registica dell'italiano Stefano Bessoni, per una produzione che vede cooperare Spagna e Irlanda insieme all'Italia. L'impianto narrativo si plasma sulla tipica struttura dell'horror-thriller all'italiana, formula che raggiunse il suo apice espressivo negli anni '70, principalmente grazie al genio di Dario Argento. Dopo una breve e inquietante introduzione, si sviluppa una lunga parte centrale in cui le investigazioni del protagonista vengono intervallate da un crescendo di omicidi, mentre prende forma il complotto in atto nei suoi confronti. Si giunge poi al finale, in cui viene scoperto il vero colpevole.

La scolastica prevederebbe un perfetto incastro tra i vari elementi raccolti durante la visione, i quali dovrebbero dare forma definitiva al disegno complessivo solo nel momento in cui viene resa nota l'identità del vero colpevole. Forse in Imago mortis non tutto è dosato alla perfezione: alcuni elementi vengono persi durante il percorso, altri risultano privi di una vera e propria connotazione nell'economia della narrazione. La sensazione alla fine è che non tutto quadri esattamente come dovrebbe. Tuttavia la realizzazione di una perfetta geometria è un obiettivo difficilmente raggiunto anche dai maestri del genere quindi, a conti fatti, tali piccole imprecisioni incidono ben poco sull'esito finale dell'opera.

Il maggiore punto di forza di Imago mortis consiste nella conferma di come una formula ormai datata, come quella proposta, possa essere tutt'oggi valida. Se da un lato la crisi espressiva del Maestro del brivido per eccellenza aveva fatto pensare che tale impianto narrativo fosse ormai anacronistico, Stefano Bessoni dimostra come si possa produrre anche nel 2009 un'opera dall'indubbia efficacia, semplicemente rifacendosi al nostro passato più glorioso. A parte qualche raro passaggio, in cui la narrazione sembra singhiozzare, la scorrevolezza dell'opera e il costante livello di tensione rendono conto del buon risultato ottenuto, dimostrando le qualità tecniche e le potenzialità artistiche di un regista agli esordi della sua carriera.

Ma se la struttura portante fa riferimento allo stile sublimato dal Dario nazionale, innumerevoli sono i richiami e gli omaggi alla storia del cinema italiano ed europeo. Lo stile visivo prende spunto dalle recenti produzioni spagnole, con una scelta cromatica che a più riprese ricorda film come Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro. D'altro canto, le scene di omicidio mischiano con equilibrio le tipiche inquadrature ancora una volta alla Dario Argento con effetti gore di stampo più spiccatamente fulciano.

Ottima anche la gestione fotografica, caratterizzata da un saggio utilizzo di forti chiaroscuri nelle scene di maggiore tensione, per poi lasciare riprendere fiato allo spettatore con un'opacità più omogenea. La perfetta armonia tra fotografia e variazioni di contesto ribadiscono la cura con cui Bessoni si sia dedicato al suo lavoro.

Una nota particolare la meritano le interpretazioni. Fatta eccezione per il doppio appello alla nobile stirpe dei Chaplin, il cast non presenta nomi di grandissimo rilievo. Eppure l'esperienza degli attori, coadiuvata dall'ottima stesura dei dialoghi, fa sì che ognuno riesca a dedicarsi in maniera più che adeguata alla propria parte. Peccato solo che, a parte i protagonisti, molti dei personaggi non vengano approfonditi quanto meritano, pur presentando svariati punti di interesse.

L'ultimo commento va riservato alle musiche, composte da Zacarías M. de la Riva, le quali sottolineano tutto il pathos della vicenda senza mai risultare invadenti.

In conclusione Stefano Bessoni riesce pienamente nel suo intento: quello di dimostrare che l'horror italiano, tanto snobbato nel bel paese quanto stimato all'estero, ha ancora molto da raccontare. Pur non essendo un capolavoro, il film risulta essere sensibilmente più piacevole di produzioni ben più blasonate. Assolutamente consigliato.