Il cinema horror è un sismografo che registra le oscillazioni dell’immaginario, rilevando paure e traumi collettivi. Negli ultimi decenni l’ansia per la crisi climatica e per la devastazione ambientale dovuta all’intensa attività umana ha cominciato a emergere sempre di più nel panorama cinematografico dell’orrore.

Non è strano, d’altra parte, se si pensa che l’uomo è arrivato a provocare mutamenti talmente epocali sul pianeta che per quest’era geologica è stato coniato un nuovo nome: Antropocene.

Antropocene Horror di Fabio Malagnini analizza la produzione horror dal punto di vista di ciò che la rende unica e perturbante: lo sguardo oltre quei confini tra il corpo umano e il mondo esterno, che definiamo natura e ambiente, oltre quelle barriere di specie, identità e genere che abbiamo eretto intorno a noi. Con sottogeneri vecchi e nuovi – new weird, eco-vengeance, animal horror, plant horror eccetera – questo genere non ha mai smesso di infrangerle, creando ibridi, mutazioni e innesti, facendosi beffe della scala e della prospettiva umana che ci ha reso ciechi anche davanti al rischio di estinzione.

Seguendo il filone di idee emerse dal pensiero scientifico, filosofico, antropologico e acquisite dal discorso pubblico, Antropocene Horror non si limita però a passare in rassegna grandiose produzioni di catastrofi, ma si concentra sulle derive dell’umanità nel momento in cui viene posta a confronto con ciò che pensava di poter controllare: l’ambiente, gli animali e, in fondo, la sua stessa natura.

Ho paura di chiudere gli occhi, ho paura di aprirli… Moriremo qui fuori.

The Blair Witch Project, 1999