Fabio Calabrese è considerato a buona ragione una sorta di piccolo Lovecraft italiano. Nel corso degli anni la mitica Dagon Press di Pietro Guarriello gli ha pubblicato ben quattro antologie: Nel tempio di Bokrug, Sulle orme di Alhazred, Progenie degli abissi e Yog Shotot.

Ora esce una sua nuova raccolta intitolata Alla ricerca di Kadath che contiene racconti che, per una ragione o per l’altra, non erano mai stati pubblicati in precedenza.

Per l’occasione troviamo anche un’interessante appendice saggistica fra cui l’interessante pezzo Sulle orme di H.P. Lovecraft in cui Calabrese si sofferma, per definire l’opera di Lovecraft, sul concetto “di quarto genere” parlandoci delle caratteristiche che lo distinguono dalla fantascienza e dall’horror tradizionale.

Secondo l'autore, la filosofia di questo particolare genere va ricercata nel senso di sgomento dell’uomo “di fronte alla grandezza degli spazi cosmici che lo trascendono in modo incommensurabile”.

Per il compianto Giuseppe Lippi quella di Lovecraft era una sorta di “fantascienza nera” mentre per Fruttero e Lucentini il Solitario di Providence era, a tutti gli effetti, uno scrittore di fantascienza. Indubbiamente comunque la “teoria del quarto genere” ha un suo fascino.

L’autore ne aveva già parlato nel suo ottimo La narrativa del mistero cosmico, apparso in origine nell’antologia della Fanucci Il segno di Cthulhu e poi ristampato in Sulle orme di Alhazred. Anche se, in questo particolare filone, forse solo il grande Fritz Leiber ha proseguito in maniera originale il percorso “lovecraftiano”. Non a caso, in Sulle orme di H.P. Lovecraft, viene ricordato il racconto capolavoro di Leiber I sogni di Albert Moreland in cui, pur non citando mai le divinità dei Miti di Cthulhu, il risultato finale è straordinario.

Per quanto concerne i racconti qui presenti il livello si mantiene su buoni standard qualitativi anche se, in alcuni casi, sembrano fin troppo derivativi come accade in Tsathoggua (ispirato a un frammento di Colui che sussurrava nel buio di cui mantiene anche i nomi dei personaggi) dove il protagonista verrà suo malgrado perseguitato dalla divinità inventata da Clark Ashton Smith. Stesso discorso anche per l’iniziale Kadath (ma l’ambientazione del deserto marziano ricorda volutamente Bradbury) e per La Città degli Yeti: quest’ultimo particolarmente riuscito; l’idea che “gli abominevoli uomini delle nevi” siano degli adoratori dei mostri pantheon lovecraftiano è a suo modo geniale e crea un’atmosfera apocalittica. In Occhi verdi l’autore invece inventa una nuova dea ovvero Khava.

Nel complesso si tratta di una buona antologia che, pur non raggiungendo la forza e la potenza di HPL, rimane in ogni caso una lettura piacevole per i cultori del genere.

Oltre al citato Sulle orme di H.P. Lovecraft nell’appendice saggistica troviamo anche Incontro con Lovecraft, articolo apparso, in origine, sulla leggendaria fanzine Il re in giallo (rivista curata, negli anni ‘70, da Giuseppe Lippi e dallo stesso Fabio Calabrese). L'articolo parla del convegno internazionale che si tenne a Trieste per il quarantennale della scomparsa di HPL a cui parteciparono Gillo Dorfles, Gianfranco De Turris, Sebastiano Fusco, Emilio Servadio, Alfred Galpin e Dirk Mosig. Decisa la stroncatura dell’intervento di Servadio (stimato e compianto psicanalista) ma, in effetti, l’uso della categoria della psicanalisi per ingabbiare il pensiero di Lovecraft credo sia quanto di più lontano ci possa essere per la sua comprensione.

Chiude questo volume una bibliografia (1976-2021) lovecraftiana della produzione dello stesso Calabrese.