Cinque racconti negli oscuri e bizzarri territori di confine che disegnano una nuova mappatura dell’Apocalisse. Cinque racconti di Alessandro Pedretta che attraversano un unico binario morto, la transiberiana dell’uomo nuovo. Tra chirurghi impazziti sulla via dell’ibridazione e il prototipo di un uomo-pesce prigioniero in un bunker nazista. Da un inquietante museo di storia naturale, cornice perfetta al travaglio di una mente compulsiva, a un futuro distopico soffocato dal ciclopico Dio della zona industriale. Per finire in una fredda grotta della Lapponia, dove nasce silente l’inevitabile connubio tra uomo e macchina.

Sinossi: Gli abitanti delle terre di Weirdlands, i protagonisti di questi racconti, sono legati da un filo rosso sangue che li afferra per la gola: l’uomo nuovo. La musica di Wagner impazza mentre mani ossessive ed esperte praticano abominevoli esperimenti, la perfezione richiede superficialità, il perfettibile si raggiunge solo grazie all’annientamento della pietas. Cosa siamo disposti a sacrificare per un bene superiore? Una parete di vetro cinge lo sguardo di una creatura metà umana e metà acquatica, un prototipo che fluttua e nuota mentre a pochi passi da lui si decidono le sorti di una guerra. Solo un vetro separa l’uomo dal mostro, ma chi è davvero il mostro? Ancora un giro di valzer ed eccoci catapultati negli occhi di un alce artificiale, niente è più vero della finzione, ma il progetto convulso per una Nazareth del futuro potrà salvare il destino dell’intera umanità? Forse no, forse il futuro che ci aspetta è quello di un mondo in rovina, dove la vita è ridotta a pura e semplice sopravvivenza. Il futuro è la zona industriale tra vecchie lamiere, animali mutanti e rituali sciamanici, che come un boomerang fanno capolino fra le labbra arricciate del tempo. Giunti all’ultima tappa potremmo chiederci se invece non siano le macchine l’ingrediente indispensabile per assemblare l’uomo nuovo, l’uomo del futuro, creato grazie alla complicità dell’indifferenza e della cupidigia. Un metallico ticchettio ci ricorda che il tempo scorre e che i confini di Weirdlands sono sempre più vicini.

I racconti:

Gli dèi lumaca

Progetto Dagon

Il feto morto e l’alce artificiale

La zona industriale

Gli dèi e le fabbriche

Quelle chiazze, lì, rosso scure sulle pareti, come il firmamento grandguignolesco d’un mondo della pazzia, possono anche non dare un tono di professionalità. Neanche le urla delle scimmie rinchiuse nelle gabbie, le zampe che stringono le sbarre e i musi che si contorcono in modo osceno, che si schiacciano e premono sul ferro e i denti aguzzi dai quali cola una bava opaca. Può anche non essere edificante camminare tra carcasse squarciate di topi bianchi o il vedere affiorare un polmone di toro tra quelle cartelle ammonticchiate nell’angolo.

Ma non siamo qui per fare gli schizzinosi e non abbiamo tempo da perdere. Le coordinate del processo a cui ci stiamo dando da fare cambiano, cambiano continuamente.

Ora cerchiamo di infilare questa testa di mulo nel corpo magro d’un delfino operato all’interno d’una vasca e ci accorgiamo che gli elementi non combaciano, che ci sono reazioni troppo violente, che i rigetti fanno sì che la carne sputi fuori da sé ciò che gli è indigesto.

L’acqua diventa troppo rossa.

E allora cambiamo percorso, noi non ci fossilizziamo. Mai. Andiamo per tentativi.

Gli organismi viventi, si sa, non sono cosa appetibile visti dall’interno. A volte anche noi abbiamo dei tentennamenti, dei dubbi che forse ci stiamo spingendo troppo in là. Sovente abbiamo conati di vomito. Ma ci attrezzeremo anche per questo.

Per giungere all’Uomo Nuovo è chiaro che dobbiamo oltrepassare molti confini, che dobbiamo arrivare al di là. Anche un qualsiasi parto può far ribrezzo. Ma non per questo smettiamo di accoppiarci e ingravidare le donne.

Noi dobbiamo pensare a quello che stiamo facendo come a una grossa, travolgente e appassionante scopata. La più bella e duratura che abbiamo mai fatto.

Siamo fatti di carne e plasma e nervi.

Siamo sacche di liquidi deambulanti e vigiliamo sulla nostra dipartita, sulla dissoluzione del nostro corpo, in ogni istante. È chiaro che ci dia fastidio quello che siamo. Ogni volta che ci tagliamo, che vediamo succo rosso o qualche lembo carnoso che penzola, al nostro cospetto si fa avanti la Morte. Ciò di cui abbiamo più paura. Ogni gemito o pezzo di intestino, o polmone estirpato o cuore vivisezionato è la Morte che ci si para davanti.

Noi, dobbiamo andare al di là. Vedere dopo la Morte. Essere la Morte per creare la vita.

E comprare scatole di antiemetici.

L’autore: Alessandro Pedretta nasce nel 1975 e cresce nella periferia milanese. Operaio, poeta e narratore. Si alimenta fin da giovanissimo di filosofie controculturali, di letteratura underground, weird e dell’orrore, di autori della beat generation e del cyberpunk, dei grandi scrittori russi, inframezzando la poesia di Ungaretti, Rimbaud, Campana ai cut-up di William Burroughs, l’immaginario di Ballard e la disintegrazione sintattica di Céline.

Tra le sue ultime pubblicazioni: la silloge poetica Dio del cemento (Edizioni Leucotea, 2016), il romanzo breve illustrato È solo controllo (Augh! Edizioni, 2017), il romanzo fantascientifico Lo sfasciacarrozze (Kipple Officina Libraria, 2019), i racconti horror Il rituale della fame e Gli dèi lumaca (Delos Digital, 2020), il romanzo sperimentale Golgota souvenir (Industria Tipografica novocarnista, 2020). Fondatore nel 2018 della rivista web di cultura estrema la nuova carne.