Attimi da incubo, veramente degni di un film horror. Una grandinata spaventosa (senza esagerare, piovevano cubetti di ghiaccio) ha rischiato di mandare a monte la prima serata del Gods Of Metal, scatenando le ire non degli dei, ma degli spettatori!

La calata del popolo metal si è mossa fin dal mattino con entusiasmo e una sorta di silenziosa, ma percepibile, fratellanza. Forse suonerà ingenuo, eppure era davvero tangibile il piacere di cercarsi e “riconoscersi”, mischiarsi e parlarsi, in un gradevole miscuglio di accenti e cadenze diverse.

L’apertura dei Dark Lunacy, nonostante l’orario un po’ penalizzante (11.30), non è passata inosservata. Il quartetto nostrano, piuttosto vicino al suono dei primi Dark Tranquillity, si è saputo imporre all’attenzione del pubblico proponendo brani di forte impatto e piuttosto rischiosi, e un alternarsi di assoli adrenalinici e inserimenti sinfonici; qualcosa del tipo: “potrebbero essere ridondanti, ma per fortuna, non lo sono”. Peccato che non suonassero al buio!

Il cambio della guardia (e intanto il Parco Nord si riempiva) è stato con i canadesi Into Eternity, che hanno regalato 25 minuti di esibizione interessante e senza dubbio varia: hanno fatto un po’ di tutto, mischiando in dosi equilibrate, un po’ di sana aggressività trash e qualche riff di origine “vecchio prog”. Probabilmente molti dei presenti non conoscevano, o forse le avevano solo sentite nominare, le prime due band, ma l’accoglienza è stata decisamente buona e propositiva.

Quando poi sono saliti sul palco i toscani Domine, l’atmosfera si è scaldata ancora di più (anche il sole, se è per quello!), senza alcun segnale di diffidenza o sorpresa iniziale. Forse perché, ammettiamolo senza cattiveria, proponevano del metal piuttosto facile? Impossibile criticarli tecnicamente, ma già dai titoli era semplice capire dove si voleva andare a parare… Dragonlord, ad esempio, cosa fa venire in mente? Le solite tinte della leggenda, “le dame, i cavalieri, l’armi e l’amore”… quindi niente di cupo!

Meglio del buon vecchio metal “picchiaduro”, come quello proposto dai Rage, che, da buoni tedeschi, suonano con una sorta di accanimento concentrato. L’entusiasmo è esploso soprattutto con il pezzo “vecchio”, fine anni ottanta, Don’t You Feel The Winter, e intanto, girando lo sguardo, prima vera panoramica del Gods Of Metal: prato e area vicina al palco affollate in modo molto soddisfacente e vario, sia per look che per età.

D’accordo, il nero la faceva da padrone, ma, come c’erano dei temerari vestiti di pelle, c’erano anche gruppetti che parevano turisti capitati per caso. Stesso discorso per l’età: alcuni coetanei dei Judas, con lo sguardo tra l’attento e il sognante, e anche “metallini” ogni tanto al cellulare con le mamme. I più fuori luogo comunque (e in un modo tanto evidente che meritano di essere citati) erano i ragazzi della security: sembravano usciti quasi tutti da una discoteca.

I più penalizzati sono stati gli Anatema. Sembra un gioco di parole, ma i Nostri hanno ricevuto un’accoglienza fredda a causa del caldo! Gli Anathema sono bravi, ma la loro è decisamente musica da buio, o meglio, da crepuscolo, da locale “old style”. Non offrono sonorità facili. A tratti evocativi e ipnotici, hanno scelto di eseguire una cover dei Pink Floyd, Confortably Numb: una sfida non apprezzata da tutti.

Dopo gli inglesi arrivano gli americani Symphony X, bravi esecutori di prog, genere che rimane comunque difficile, perché troppo a “rischio freddezza”. Non sempre essere virtuosi è sinonimo di bravura, benchè, è innegabile, lo sia di padronanza tecnica.

Ci si avvicina al momento peggiore, e la domanda nasce spontanea: i truci Nevermore hanno lanciato qualche messaggio particolarmente cattivo per far cadere il cielo? Mentre la band si esibiva con suoni secchi e aggressivi, con alle loro spalle il logo di Enemies Of Reality, nuvole nere si addensavano un po’ troppo minacciose. I Nevermore hanno dato la scossa decisiva al pubblico, scatenando i primi assalti, peraltro vittoriosi, alle transenne e hanno scosso anche il clima! Dopo la loro esibizione infatti si è scatenato un diluvio universale, che ha costretto ad annullare le attese esibizioni di Ufo e Stratovarius (rimandati al giorno dopo).

Per fortuna un temporaneo rasserenamento ha reso possibile (anche se è ben stata sospirata, costringendo i presenti a bivaccare, fradici, per circa tre ore) l’esibizione dei Judas Priest! Beh, si può dire: ne è valsa l’attesa. I Judas meritano davvero l’appellativo “Gods”! Rob Halford ha dominato sul palco regalando, anche grazie alle scenografie e cambi d’abito, la sensazione di tornare indietro nel tempo, a quando i concerti di heavy metal erano davvero una scossa!

I Judas Priest cercano il loro pubblico, si divertono e danno l’impressione di provare piacere nello stare sul palco, ma sempre con gli occhi “verso” i fan, iniettando energia a ogni nota. Come da copione hanno eseguito le amatissime The Ripper, Electric Eye e l’acclamatissima Pain Killer.

Già. Proprio un buon inizio. Non è fanatismo dire che, in fondo, non è stato terribile sopportare l’acqua, perché comunque “era bello esserci”.