Opera prima dello spagnolo Francisco Plaza, Second Name arriva sul mercato home video in questi mesi, osannato come un monumentale horror psicologico e accompagnato da numerosi premi vinti in diversi festival di genere. Poco considerato dalla critica cinematografica italiana, passato spesso in rassegne economiche nelle nostre sale, questo film è tratto da un racconto di Ramsey Campbell, esattamente come Nameless di Balaguero. Narra le indagini di Daniella, una giovane donna che tenta di comprendere le ragioni del suicidio del padre. Una serie di rivelazioni sconcertanti permettono alla protagonista di scoprire che l’uomo faceva parte di una setta segreta e cruenta, e che dalla setta stessa deriva la causa del suicidio.

Mentre Nameless ha lanciato un modo nuovo, particolare, di fare cinema horror (per quanto discutibile sia, secondo una critica slegata dal genere, questa affermazione), Second Name sembra costruito come semplice imitazione. Non c’è una scelta, una sola, nella pellicola di Plaza, che non tradisca un rimando, una ispirazione, una scopiazzatura in carta carbone dell’opera prima di Balaguero. Dal titolo alla fotografia, dal casting alle meccaniche della sceneggiatura, dal primo all’ultimo movimento di camera, il film trasuda del Balaguero-pensiero.

Il girato vive di poche riprese esterne e molte, moltissime interne, spesso estenuanti perché troppo lunghe, e di una continua alternanza tra interni lussuosi e ambienti sordidi; la macchina da presa, però, non offre quasi nulla in quanto a descrizione visiva, rivelandosi semplicemente uno strumento utile a video-filmare i dialoghi tra i personaggi; solo in casi rari si avverte una minima cifra estetica, come nel caso del rinvenimento del cadavere del padre della protagonista in cui l’obiettivo percorre lentissimo la scena e sembra voler trasformare l’inquadratura in una tela di Caravaggio. La fotografia, abbandonando -almeno in questo caso - lo stile volutamente sovraesposto di Nameless, opta per atmosfere generalmente più cupe, con una predilezione per gli ambienti bui o comunque illuminati in modo soffuso. L’uso del sangue e delle situazioni inquietanti, o di personaggi mostruosi, è limitato al minimo, quasi assente: nelle situazioni realistiche l’orrore viene infatti soltanto suggerito. Vera angoscia la si prova solo nelle battute finali, al rivelarsi completo del mistero, nel momento in cui si assiste alla morte di una nuova vittima e alla conclusione della tragedia.

Complice un’idea di base sicuramente articolata da questo punto di vista (grazie all’ottimo materiale di Campbell), i personaggi della storia sono coerentemente umanizzati, assolutamente credibili; gli attori scelti nel casting si dimostrano all’altezza della situazione e testimoniano in modo valido la presenza di una ottima scuola spagnola in fatto di recitazione.

Siamo, insomma, di fronte a un classico prodotto emulativo che, pur non aggiungendo nulla di nuovo a quanto già detto con sufficiente autorevolezza da Balaguero, si lascia guardare volentieri e dimostra come il cinema horror spagnolo, nonostante pareri discordanti e spesso di parte, sia una felice realtà a cui dovremmo provare a ispirarci (se non altro per la passione dimostrata) anche noi italiani.

Extra

Making of, 1 video clip, inizio alternativo, interviste, backstage, scene eliminate, storyboard e trailer.