La melodic death metal band Kruna ha debuttato lo scorso 26 marzo, con l'album Last Century (Bakerteam Records): la band, nel 2007, pubblicò in rete la demo Fragments Of Memories, ottenendo un buon successo. Agli appassionati, saltarono subito alle orecchie le influenze di Sepultura, Black Sabbath o Slayer, ma anche Soilwork, Hatesphere e The Black Dahlia Murder. I Kruna hanno trascorso gli ultimi anni donando anima e cuore alla realizzazione del primo full lenght, cogliendo l'occasione per maturare e coltivare la parte live della propria carriera musicale. Last Century è stato prodotto da Riccardo Pasini (Ephel Duath, Extrema, Slowmotion Apocalypse), e vede Alberto Zannier (Slowmotion Apocalypse) come special guest nel brano intitolato Phoenix.

Man God's Temple dà il via al lavoro in maniera decisa e aspra: la strofa si dimostra piuttosto interessante, la voce protagonista si dimena e combatte con veemenza contro il riff di chitarra corpulento e spinoso. Nel ritornello le dinamiche rallentano, ma il sound si incupisce ulteriormente, lasciando un sentore di amaro in bocca. Il pezzo, in linea generale, rende una sensazione d'ansia e inquietudine, e lascia senza fiato.

Bloody Centuries si apre dimostrandosi in sintonia con le sfumature sonore, ritmiche e melodiche del pezzo precedente, e si presenta come uno dei migliori del lavoro nel suo complesso: in questo secondo brano le chitarre hanno un ruolo fondamentale, infondono nell'ascoltatore una sensazione di onnipotenza quasi epica. I riff di chitarra sono belli e corposi, impreziosiscono il panorama thrash nel quale si ambientano, fino a esplodere in un assolo graffiante e soddisfacente: un esempio di come pochi accordi, ben scelti e studiati, possano rendere perfettamente a livello sensazionale.

Confessor si avvia impetuosa e imperante: il riff di chitarra, prettamente thrash, si divincola come le zampette di un ragno mostruoso, mentre la voce grida spavalda e demoniaca. Il brano scorre bene, prende addirittura un sentiero velato di prog verso la fine del brano, poco prima dell'assolo che si mostra stridulo, superbo e fluido, muovendosi su un tappeto musicale convulsivante.

Confessor lascia spazio a Phoenix, la quale non sembra voler spezzare la catena distruttiva e aggressiva di Last Century: ma ecco arrivare un brivido sulla schiena, col ritornello, quando le sei corde suonano melodiche, mentre si fa largo una voce graffiata e sporca, da apprezzare. Sul finire, il pezzo acquisisce ulteriore melodia, divenendo ancor più emozionale, grazie anche all'assolo di chitarra, che sfuma, dolcemente, lasciando spazio al tappeto musicale ricco di groove e potenza.

Molto old school, Death Without War è un piacere per le orecchie: bella e semplice, risuona come qualcosa di già sentito, ma non dispiace affatto. Una strofa piuttosto cupa, accoglie la voce indiavolata che via via si muove verso un ritornello degno di nota: anche in questo caso, la melodia rende il panorama musicale commovente, ma rabbioso al contempo. L'assolo, semplice ma d'impatto, infonde una sensazione epica, coinvolge oltre l'immaginabile, rigettando l'ascoltatore nel ritornello da brividi.

Con Back In Time si è di nuovo sul terreno di guerra, le dinamiche musicali si velocizzano, le melodie di chitarra si aprono, mentre la voce riesce a suonare ancor più diabolica: il ritornello, ricco e funzionale, a metà brano, lascia spazio all'assolo virtuoso e prezioso. Anche per questo brano sembra che i Kruna abbiano bene in mente dove vogliono andare a parare, quali emozioni vogliono evocare in chi ascolta e le sensazioni che la loro musica deve regalare: un punto sicuramente degno di nota.

Ten Lies comincia con un riff stoppato, per poi avviarsi cupa e arrabbiata, ringhiosa. Il brano pesta sull'acceleratore dell'adrenalina, fa digrignare i denti e dà una scossa decisa ai nervi: alla melodia, in questo caso, è lasciato poco spazio. Il pezzo suona thrash, con ritmiche decise e riff di chitarra scalmanati, fino a giungere a un cambio a circa metà brano: le chitarre riescono a suonare ancora più cupe, si ripete il gioco di stop iniziale e finalmente ha la sua porzione di scena l'assolo, breve ma pungente.

Mob appare decisa, con un blast beat bestiale e una velocità nelle dinamiche musicali piuttosto stancante; nel ritornello compaiono pennellate di chitarra melodiche, che acquietano il mood animalesco e arrabbiato del brano, della parte iniziale. La pausa sedata è breve, la bestia torna a dimenarsi con tutte le sue forze subito dopo, in un galoppo sfrenato e frenetico, per poi accasciarsi a terra, stremata, con l'assolo di chitarra, ad ammaestrare la forza bruta e porle dei limiti. Sul finire il pezzo prende una strada ancora più emozionante, melodica, bella. La bestia non si rialza più, chiude gli occhi e si spegne.

Not For Me scorre veloce e prepotente, da apprezzare in particolare l'assolo di chitarra e il panorama musicale che lo accoglie. Dal momento dell'assolo in poi, il brano si incupisce e si incattivisce, risultando in contrasto con l'intro di Death By War; il penultimo pezzo di Last Century, si presenta più calmo e melodico, emozionale e sentito. In quanto a potenza, tuttavia, non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori: è potente in modo più denso, sono gli accordi a infondere una sensazione di fierezza poderosa e a rendere questa traccia forse la migliore dell'intero album.

In toni più pacati e melodici, Armor prende il via con un tapping bello e delicato: il pezzo si toglie gli abiti apparentemente angelici, dimostrandosi un carro armato musicale, forte e travolgente. Bridge e chorous si possono descrivere con mille parole, ma l'aggettivo “bello” sembra essere il più appropriato e sintetico disponibile; un breve stacco, nel quale compaiono le tastiere, e poi di nuovo si torna a sudare e sanguinare come nella prima parte del brano. Armor prende una strada imprevista nei suoi ultimi due minuti di vita: un pianoforte pulito e calmo dà il via a un riff di chitarra pacato, appena accennato su un sottofondo rumoroso e indefinito: un tocco geniale, un modo più che degno di concludere questo lavoro.

Last Century va degustato in ogni minima sfumatura, non è un album a cui dedicare un unico ascolto, è additivo. Si fa fatica a staccarsi da alcuni brani, entrano a gamba tesa nelle emozioni e nel normale flusso mentale di chi ascolta, tanto da insidiarvisi senza accennare a lasciare il campo. Un disco fatto di contrari musicali ed emozionali, in pace gli uni con gli altri, che dimostrano l'umiltà dei Kruna, i quali non hanno la pretesa di riscrivere la storia del metal, ma semplicemente la volontà di far musica con un gusto e una finezza eccellente. Considerandolo poi come loro album d'esordio, non c'è niente da dire: i Kruna ci sanno fare con i loro strumenti, con le loro emozioni, con quelle di chi ascolta e soprattutto con la musica, dimostrando di avere tutte le carte in regola per evolversi fino all'eccellenza.