Non si tratta degli Iron Maiden a cui state pensando. Dobbiamo andare indietro nel tempo, nell’atrio di una scuola inglese del 1966: stavano suonando i Cream (stavolta proprio quelli a cui state pensando). Alcuni ragazzi, fra i giovani spettatori, si sentirono ispirati abbastanza per metter su una propria band. E come Stevenson’s Blues Department, facendo da supporto a Fleetwood Mac e Jethro Tull, cominciarono a racimolare guadagni. In seguito, come Bum (“culo”) dovettero cambiare il nome, perché causava loro un sacco di problemi, con diversi promoter e club dell’epoca che rifiutavano di assegnare date. Senza contare che, con l’avvento dei Led Zeppelin, la band si era spostata su territori più heavy, cominciando a inserire temi esoterici e relativi alla Magia Nera all’interno dei testi.

 

Dal 1970 la band cambiò il nome in The Iron Maiden e firmò con la Gemini (costola della President), che fece uscire il loro singolo Falling/Ned Kelly. Con una durata di oltre sei minuti, Falling era stata programmata come primo singolo assoluto in 33 giri; tuttavia, siccome i juke box suonavano solo 45, i membri del gruppo furono costretti a stipare l’intera traccia in un lato. Il lato B, Ned Kelly, era stato composto per essere incluso nella colonna sonora dell’omonimo film con Mick Jagger, con tour mondiali che coincidessero con le prime visioni, ma problemi di diritti bruciarono l'opportunità.

Poco dopo la realizzazione di Falling, comunque, la band non esisteva già più: il bassista Barry Skeels era entrato nei Monument e negli Zior; il chitarrista Trevor Toms negli Spirit di John Morgan e gli Inner City Unit di Nick Turner.

 

La Rise Above Relics, oltre al 45 giri, è riuscita a rintracciare il master originale e restaurare l’audio del loro album demo del 1970 (ma buona parte del materiale è stata registrata nel 1969), Maiden Voyage, che non è mai stato completato. Disponibile anche in vinile, è accompagnato da un libretto di 40 pagine.

 

Si parte dunque con God of Darkness, un brano di rock occulto registrato un anno prima del primo album dei Black Sabbath (in molti lo ritengono il primo brano ‘proto-doom metal’ mai registrato). Per quanto il suono risulti datato, il restauro della Rise appare minuzioso e ben ci cala nelle atmosfere e nei colori del periodo. Una traccia claustrofobica, in cui i sussurri e i riff ossessivi spennellano di nero quello che risulta per buona parte un brano strumentale.

 

In Falling l’ossessività del doom e i primissimi suoni heavy si amalgamo ad atmosfere più psichedeliche e progressive (quasi folk nel giro di chitarra), unitamente a linee melodiche accattivanti, mentre nel suo originario lato B, Ned Kelly (per sua natura brano più breve dell’intero album con i suoi soli tre minuti) la sintesi delle idee melodiche e la prevalenza del cantato rispetto allo strumentale rendono il pezzo anche più efficace come singolo dell’originario lato A.

 

Liar è con i suoi quasi tredici minuti la traccia più ampia dell’intero lavoro e si configura quasi come una suite multisezionata, se non fosse che tutto resta elettrico e lontano dal virtuosismo dei colleghi progressivi (per quanto siano presenti interessanti e lunghi episodi solisti della chitarra che molto ci si avvicinano), mente l’alternanza rimane fra sezioni vocali e sezioni strumentali così come la sperimentazione sonora. Simile alternanza, con ampie sezioni strumentali - dal retrogusto talvolta blueseggiante - dominate dagli strumenti a corda, ritroviamo nei nove minuti di Ritual, mentre con CC rider, se proprio non torniamo alla dimensione del 45, ci recintiamo in un ambiente più limitato, sia dal punto di vista della durata che del genere, in quanto si tratta di un blues puro (con tanto di armonica e relativo solo), privo di qualsiasi influenza heavy o doom.

 

Plague inizia sommessa e si riempie e scurisce col procedere della traccia, ferma restando l’alternanza fra momenti energici e momenti rilassati, gli strumentali (ampi e sperimentali) e i cantati. Chiude il cerchio Ballad of Martha Kent, ‘ballata’ dal sapore folk e dalle linee vocali affascinanti, per non dire catchy, che a fine ascolto lascia un piacevole ricordo sia di se stessa che dell’intero album.

 

Un disco che va giudicato dunque non solo traccia dopo traccia ma anche nel suo complesso, per ciò che rappresenta in riferimento all’epoca e a quanto avrebbe potuto succedere se la band non si fosse sciolta tanto presto. Sicuramente un ottimo lavoro anche da parte della sezione ‘archeologica’ della Rise Above (Relics) che ha saputo ritrovare e restaurare un ‘oggetto’ che affascinerà sicuramente numerosissimi appassionati del genere.

In uscita per il prossimo 9 luglio.

Info: riseaboverecords.com/home