Parlare di Gustav Meyrink è difficilissimo.

Badate bene, ho detto parlare, non recensire poiché è impossibile e lo ritengo un abominio.

Come si può “recensire” un classico di tal guisa?

È impossibile e non possiamo esserne capaci, perché troppi granelli sono scesi a valle nella clessidra inferiore.

Troppo ha macinato il mulino del tempo.

E cosi i libri cosiddetti senza tempo restano aperti a noi ma remoti, inaccessibili a quel cervello abituato all’immediato e a canoni rigidi.

Ecco perché li leggiamo con cupidigia ma al tempo stesso siamo alieni capitati su un mondo che ci appare illogico.

E La notte di Valpurga ne è l'altisonante esempio.

Del resto molte sono le chiavi di lettura, alcune prettamente politiche come il racconto, in forma mitica, della decadenza di un impero asburgico che segnava inesorabilmente la fine di un ciclo.

Crollano valori.

Crollano certezze, crollano imperi e gli uomini si trovano divisi tra un passato rassicurante e un futuro incerto con il presenta che traballa e si rannicchia su se stesso.

E il libro intero non profuma solo di esoterismo, cosi come ha ben descritto il nostro Evola nella prefazione di quest'edizione, ma profuma anche di decadente nostalgia, di quella malinconia che si sposa con l'orrore che vede macerie sparse lungo il cammino di un umanità che apparirà sempre più privata, sensorialmente, del senso di meraviglia, di grandezza e di potenza.

Gli imperi di oggi non sono certo quelli di allora.

Non hanno come coronamento le mitologia che li giustificavano.

Oggi è l'utilitarismo la parola chiave.

E ci priva di quella Sacralità del potere che in un certo senso consolava afflitti e magari spiegava i torti.

E in fondo non è solo storia.

In Meyrink essa va a braccetto con il soprannaturale, considerato parte inestricabile non solo dell’arte letteraria ma della natura stessa.

Sopra la natura, infatti, esistono forze che giocano con noi come se fossimo pedine di una grande scacchiera.

È un ballo sfrenato in cui noi ripetiamo giri imparati a memoria e iscritti in quel DNA che è solo una registrazione di una voce altisonante che ci comanda.

E cosi in quella notte che sembra risorgere tra le ceneri di una tradizione antica, più antica dell’uomo stesso, capace di festeggiare si la primavera ma anche ci celebrare assieme alla rinascita la morte necessaria affinché il ciclo dell’esistenza si compia, qualcosa di magico e terrificante accade sempre.

Terribili locus est iste.

Luogo terribile è la terra, un buio eterno in cui le ombra, noi stessi, cercano insistentemente una luce, una luce vera, capace di donare a tutti la somma conoscenza.

Che non è tecnologia, tecnica o sapiente, è soltanto la scintilla che ci restituisce il nostro vero volto.

Non quello deformato dallo specchio di una realtà maschera insondabile che nasconde il mistero.

Ma non solo.

Valpurga, nella tradizione purifica tutto con il fuoco, con la cenere quindi, con la distruzione.

Una rinascita affatto tenera che però rientra nei canoni della poetica del nostro Meyrink, che grazie al consiglio di Sant'Agostino ricordò che:

noli foras ire, in te ipsum redii: in interiore habitat veritatis.

Non è fuori, nella stesura dello spartito del tempo, che la verità può essere ritrovata.

Ma è dentro di noi, nelle regioni infere, quelle dove Valpurga accende i suoi falò, che ritrovi la vera strada.

E quindi un racconto di risveglio e di morte necessaria allo stesso.

La vita normale è il sonno supremo in cui ogni protagonista si rifugia o è condannato.

Ciò che è agire, in realtà non è altro che il ripetersi di banali, privi di spirito gesti meccanici.

Senza senso.

La divisione tra il mondo che è in movimento ossia quello fuori e il mondo addormentato, irto di rovi e spine, impenetrabile alla luce della gnosi.

Chi ci vive si logora, si consuma, avvizzisce in un reiterare ossessivo di rassicuranti gesti e emozioni.

Materia inerte priva dello spirito sacro e sacrale.

Terribile luogo è la dimora degli dei.

Essi con voce tonante, tramite scorci nel tessuto del tempo provocati da certi accadimenti astronomici, fanno penetrare i propri tentacoli in quella dormiente dimensione e rompono il guscio della banalità amorfa, e modellano seppur con feroci artigli ciò che essa indegnamente custodisce.

E’ il risveglio, evento affatto soave, ma traumatico.

E’ la notte di Valpurga in tutto il suo atroce splendore.

E noi che ci siamo immersi in queste pagine, restiamo cosi inermi di fronte alla potenza del racconto simbolico, senza fiato, senza poter difenderci dal fuoco che divampa e tutto brucia.