Una spilla a forma di smile accanto a un tombino, in mezzo a del sangue che viene lavato via dalla strada.

La telecamera comincia un lento zoom all’indietro che dura 7 vignette, risale lentamente, fino a una finestra infranta, molti piani più in alto in un moderno grattacielo.

Inizia in questo modo Watchmen, una delle più grandi e importanti storie a fumetti di sempre, ora riproposta al grande pubblico all’interno della collana I classici del fumetto – serie oro de La Repubblica al prezzo di 6,90 €.

Parlarvi in poche righe di quello che questa celebre maxi-serie ha rappresentato per il fumetto è cosa davvero ardua. Molta critica delle nuvole parlanti riconosce a Watchmen il ruolo di più importante spartiacque della narrazione a fumetti contemporanea: dopo il 1986 e la conseguente invasione britannica nulla sarà più lo stesso.

Creata dal Mago e Demiurgo Alan Moore, e resa graficamente dal talentuoso Dave Gibbons, la storia narra, attraverso i meccanismi del noir, della fantascienza e dell’horror, il progressivo dipanarsi di un piano incredibile del quale non possiamo rivelare nulla senza rovinarvi la sorpresa e il piacere della lettura. Possiamo solo citarvi qualche particolare secondario, come il fatto che, in un mondo costantemente sull’orlo della Guerra Fredda e con l’equilibrio mondiale reso fragile dalla presenza del superuomo per antonomasia, l’onnipotente Dr Manhattan, alcuni super esseri mandati in pensione dal governo anni or sono stanno scomparendo per mano di un misterioso criminale.

Per usare le parole usate da Wikipedia alla voce Watchmen: La storia narra di Eroi da fumetto diversi da quelli conosciuti fino ad allora: secchioni troppo cresciuti, squilibrati da manicomio, omosessuali non dichiarati, criminali stupratori, pazzi visionari, esseri divini senza umanità, oche senza cervello, ubriaconi e imbecilli al punto di farsi uccidere da un criminale per un mantello incastrato nella porta girevole. I temi spaziano dal concetto di divinità e di tempo, al Superuomo, a pirati, guerra fredda, con un macchiavellico piano da scienziato di film di serie B che per una volta riesce in pieno.

Moore mette il dito sulla piaga esasperando la crisi latente della figura del super eroe e operando una rivoluzione copernicana che darà il via a una reazione a catena ancora in atto. Altri dopo di lui seguiranno la sua scia, spostando l’accento ora sui meccanismi narrativi e sulla sintassi (Grant Morrison in Animal Man e The Invisibles) ora sul restyling del personaggio, del suo mondo e delle sue motivazioni (segnatamente Frank Miller con Devil e Batman, ma anche Peter David e Jean Marc DeMatteis in Hulk e L’Uomo Ragno). Non mancheranno anche epigoni più simbolisti e “massimalisti” quali Rick Veitch e il suo The One o feroci dissacratori e acuti critici sociali quali i contemporanei Garth Ennis e Warren Ellis, tutti “agenti” di una rivoluzione in atto ancora oggi.

Ma i pregi di Watchmen esulano dal pur importante ruolo di precursore. Moore usa la famosa gabbia a 9 vignette per giocare in ogni possibile modo con montaggio e piani, creando giochi di ritmo e narrazione che hanno del miracoloso (zoom in and out, montaggio alternato, costruzioni a croce e rombo esaltate dalla colorazione, esplosione in occasionali splash page dal grande impatto narrativo, dissolvenze incrociate esemplari…) e mischiando generi e stili. Il Maestro britannico passa dalla sf più hard (la genesi di Dr Manhattan, le sue riflessioni su tempo e spazio) al pulp e hardboiled delle sezioni dedicate all’indagine di Rorschach, fino alla narrazione fra avventura e horror-weird del “fumetto nel fumetto” (un albo letto da un ragazzino in strada) per giungere allo psycho thriller dei traumi infantili alla base della nascita di Rorschach e finire nella fantascienza da b-movie alla “mad doctor” del piano globale in atto.

A dar “corpo” alle fantasie di Moore ci pensa il tratto di Dave Gibbons, che solo a un esame superficiale può sembrare classico o addirittura retrò, ma che in realtà nasconde un'acutissima e moderna ricerca sulla figura umana, sulla sottrazione di segno e dettagli alla ricerca della forma pura, nitida e lineare che era già alla base dell’opera di Alex Toth e che ora viene proseguita da Gibbons e, per altri versi, da Mike Mignola. Completano il quadro i colori di John Higgins, che in certi momenti assurgono a veri protagonisti delle pagine, spaziando da un uso “sintattico” del colore a rafforzare la scansione delle vignette a certe esplosioni lisergiche volte a sottolineare l’esplosione della splash page.

Si tratta di un’opera che è lettura irrinunciabile per ogni appassionato della narrazione in sé, a prescindere da generi e media. Il volume brilla di luce propria all’interno di un progetto scadente e confusionale quale quello proposto da La Repubblica, ennesimo esempio di becero sfruttamento commerciale (lecitissimo e alla base di molta arte occidentale, beninteso) mai supportato dal minimo rigore culturale o interesse verso la materia proposta. I supposti “classici” proposti dal quotidiano romano sono tutto fuorché, appunto, “classici” (intendendo la parola come “fondante di una cultura o di un mezzo espressivo”) e forniscono un quadro assai parziale e a tratti imbarazzante del mondo delle nuvole parlanti.