Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) è oggi considerato uno degli autori più influenti nel campo della letteratura fantastica e dell’orrore, ma se pure il suo immaginario ha lentamente conquistato e influenzato i vari livelli di narrazione sono in pochi ad averlo letto, e ancora in meno ad averlo compreso. L’accettazione delle sue opere è da sempre stata ostacolata dall’omofobia e dal razzismo che emerge dalla ricca corrispondenza con altri letterati e che traspare in alcuni suoi scritti, ma Lovecraft non è niente più che figlio del suo tempo. Lo scrittore di Providence, un conservatore di buona famiglia, si ritrova a vivere in un periodo storico di ciclopici cambiamenti. Gli Stati Uniti erano una nazione in rapida crescita e quindi soggetta a un’immigrazione feroce, la Russia metteva in atto la sua rivoluzione, le suffragiste rivendicavano pari dignità e diritti tra uomini e donne e le scoperte cosmologiche riducevano la vita umana a un semplice errore evolutivo. Tutte queste paure si riversano necessariamente negli scritti di Lovecraft, diventando il metro di  misura delle angosce americane. La lettura delle sue opere deve quindi essere affrontata tenendo ben presente il periodo culturale nel quale vengono scritte ed è soprattutto la sua straordinaria immaginazione che semplifica lo scendere a patti con una visione che risulta ristretta per gli anni in cui viviamo. Per questi motivi Lovecraft è rimasto così a lungo sconosciuto ai più, costringendo la cinematografia a omaggi indiretti per molto tempo. Riabilitata la sua letteratura, in molti si sono profusi in celebrazioni esplicite senza però riuscire quasi mai a rendere pieno omaggio alla complessa cosmologia e al senso di orrore cosmico che permea i suoi racconti.  

È Roger Corman, con La città dei mostri (1963), il primo a servirsi delle opere di Lovecraft. Al regista, che aveva già trasposto con successo i racconti di Poe al cinema, fu però imposto di presentare il film come tratto da un’opera dello scrittore di Boston, pur essendo la pellicola ispirata a Il caso di Charles Dexter Ward. I membri dell’Antica Razza sono ripresi da L’orrore di Dunwich e da La Maschera di Innsmouth. Non mancano poi riferimenti al Necronomicon, fulcro della produzione lovecraftiana e il cognome di una delle donne del villaggio, Hester Tillinghast, lo ritroviamo in Dall’ignoto.

Dopo questo primo omaggio, la casa di produzione AIP commissiona altri due horror con superficiali riferimenti a Lovecraft: La morte dall’occhio di cristallo (1965), tratto da Il colore venuto dallo spazio, e Le vergini di Dunwich (1970) entrambi diretti da Daniel Haller.

La porta sbarrata, racconto minore della produzione lovecraftiana, ispira l’omonimo film del 1967 diretto da David Greene.

Black Horror – Le messe nere (1968) è l’ennesima rivisitazione gotica ispirata a I sogni della casa stregata, racconto appartenente al ciclo di Cthulhu. La pellicola, diretta da Vernon Sewell, priva la narrazione di tutti gli elementi più macabri, discostandosi notevolmente dalla visione dello scrittore di Providence.

Negli anni Ottanta il cinema torna a ispirarsi alle opere di H.P. Lovecraft: i più sofisticati effetti speciali permettono una rappresentazione visiva migliore delle creature che popolano la mitologia lovecraftiana.

Stuart Gordon dirige Re-Animator (1985) adattamento del racconto Herbert West, rianimatore. Nonostante questa sia considerata una delle migliori trasposizioni dell’opera di Lovecraft, è tra tutte quella meno fedele. Gordon rivisita non poco lo scritto originale e annega la storia in un mare di sangue, trasformando così il dolore psicologico in dolore fisico. Il film dà origine a due sequel Re-Animator 2 (1991) e Beyond Re-Animator (2003) entrambi diretti da Brian Yuzna.

A un anno da Re-Animator, Stuart Gordon dirige From Beyond – Terrore dall’ignoto, tratto dall’omonimo racconto breve di Lovecraft, ancora una volta il regista dimentica il fantastico concentrandosi maggiormente sull’exploitation.

La fattoria maledetta (1987) di David Keith è il secondo adattamento ufficiale, piuttosto fedele, de Il colore venuto dallo spazio. Gli effetti speciali sono curati dal maestro del cinema italiano Lucio Fulci che è anche accreditato come produttore associato.

Se anche non ispirato ufficialmente a nessun racconto di Lovecraft, è impossibile non citare il capolavoro di John Carpenter, La cosa (1982), pellicola che trasmette come poche altre il senso di orrore cosmico così caratteristico dell’opera lovecraftiana. Il film è la prima parte della trilogia che Carpenter dedica a Lovecraft, insieme a Il seme della follia e a Il signore del male, trilogia che cita Alle montagne della follia, Nyarlathotep, La città senza nome e Il richiamo di Cthulhu.