Avete ancora qualche giorno per prepararvi alla visione di The Green Inferno (al cinema dal 24 di settembre), horror per la regia di Eli Roth, perché se per essere in grado di incassare una salva di cazzotti ci vogliono forza di volontà e allenamento, lo stesso vale per diventare immune alla ripugnanza.

Non può esserci preparazione migliore se non quella di ripercorrere la storia dei cannibal movie nati sotto il sole del Bel paese, che dovrebbero essere annoverati tra i tesori nazionali tanto quanto il vino, la moda e il calcio.

È Umberto Lenzi a inaugurare il fortunato filone con Il paese del sesso selvaggio (1972) che pur mostrando una sola scena di cannibalismo, per primo fissa le regole del genere: l’ambientazione esotica, la violenza si compie alla calda luce del giorno invece che con il favore delle tenebre, il cannibalismo mescolato all’erotismo.

È però considerato padre dei cannibal movie Ruggero Deodato che nel 1977 presenta Ultimo mondo cannibale che fa dell’antropofagia il suo tema principale, prova generale per la realizzazione di Cannibal Holocaust del 1978. Capolavoro del genere che più di tutti ha ispirato Eli Roth per il suo The Green Inferno, mockumentary feroce, mosso da una violenza animalesca che la società civilizzata conserva ma che si illude di poter allontanare da sé. Quando però l’uomo civilizzato è sottratto a ogni forma di controllo, quella brutalità celata si rivela in tutta la sua furia. Terminate le riprese, complice l’incredibile realismo della pellicola, Ruggero Deodato chiese agli attori che impersonavano i fotoreporter di sparire per un anno, così da alimentare il falso mito che si trattasse di vero uno snuff movie. Quando però il regista fu accusato di aver realmente ucciso i protagonisti del film , si ritrovò costretto a portarli in tribunale per dimostrare che altro non era che una riuscita finzione.

Una sorte simile è spettata a Joe D’Amato per Antropophagus (1980) cannibal spurio (la vicenda si svolge su un’isola greca invece che nella classica ambientazione amazzonica) ricordato per alcune scene molto cruente quali quella del feto mangiato e quella finale che mostra il cannibale che addenta le proprie viscere. A causa di un servizio della BBC News, il film fu creduto uno snuff movie e per questo bandito per lungo tempo nel Regno Unito.

Altri buon esempi del genere sono Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977) di Joe D’amato e La montagna del dio cannibale (1978) di Sergio Martino che cavalcano l’onda di un filone appena nato e che pur riciclando lo stesso plot di base – un gruppo di occidentali si perde nella giungla e qui vengono rapiti, torturati, massacrati e infine divorati dalla tribù di turno – si muovono in maniera originale e sono capaci di una buona coerenza narrativa.

Gli anni ottanta svuotano il genere dalla violenza, sostituendola con la pornografia. A dominare quindi non è più il cannibalismo ma temi tra loro molto differenti, nascono così Mangiati vivi! (1980) di Umberto Lenzi, Porno Holocaust (1981) di Joe D’Amato e Nudo selvaggio (1985) di Michele Massimo Tarantini.

I più interessanti prodotti della seconda ondata di cannibal movie restano Cannibal Ferox (1981) di Umberto Lenzi, che rivaleggia con Cannibal Holocaust in quanto a metri di pellicola censurata, e Schiave Bianche – Violenza in Amazzonia (1985) di Mario Gaiazzo.